La gentilezza dell’acero (poesie di Quattrone)
Essermi occupato per molti anni di poesia anche come critico e in particolare attraverso l’attività di una rivista specializzata, mi ha dato il privilegio di seguire il percorso di diversi autori, e in particolare di alcuni poeti minori – laddove minori, come intendeva Eliot, non significa inessenziali rispetto all’epoca o incapaci di trovare accenti personali e spunti di perfezione assoluta.
Tra i tanti “poeti nel limbo” mi fa piacere rileggere in questi giorni Alessandro Quattrone, autore della raccolta La gentilezza dell’acero (Passigli, 2018). Senza pretesa di lucidità valutativa, l’impressione che ne ricavo è di una riconoscibilità che tuttavia marca un passo di maggiore emblematicità, forse anche grazie a una saggezza creaturale che si fa ancor più evidente.
Condivido con voi alcuni testi, per rendere ragione alla voce di questo poeta:
Anche il cielo aspira a farsi terra,
collina brulicante di colori,
non sopporta più la distanza
dalle mani, dai passi degli uomini,
vorrebbe tanto avere linee
e lasciare agli occhi
la nostalgia della trasparenza.
* * *
È stato solamente un malinteso,
come quando ti si avvicina un cane
credendo che tu abbia qualcosa
da offrirgli, uno sguardo, un’amicizia
che sfama, rallegra e rassicura,
qualcosa che ci sarà e non c’era:
e invece nelle mani desolate
non hai altro che una carezza, breve.
* * *
Prima che arrivi il treno
si prova a dire qualcosa di profondo,
qualcosa di necessario e puro,
guardando intanto i ciottoli gelati
tra i binari arresi al destino.
C’è chi sorride di antica sapienza
e chi parla con l’intento di essere
infine un uomo che non chiede nulla
e non aspetta altro che lo spostamento
d’aria del treno che verrà.
* * *
Si va di fretta, si è in ritardo, si arriva
affannati al luogo dove già da qualche minuto
dovrebbe essere iniziato il discorso
atteso da così tanto tempo,
ma c’è una strana desolazione
all’ingresso, e pigramente il custode
chiarisce che purtroppo non è oggi
il giorno dell’incontro,
non è oggi che saremo lieti,
ci siamo sbagliati, era ieri,
era ieri che avremmo dovuto esserlo.
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