Narrativa d’oggidì: Francesca Petrizzo
Non esiste la narrativa odierna, sostiene giustamente Francesca Petrizzo, perché separarsi dalle opere della tradizione è insensato…
Perché scrivi?
Perché devo, è parte di me. Ci sono storie che mi vengono in mente dal niente, storie che mi assillano per anni, finché non acconsentono a essere scritte. Vivo raccontando, racconto vivendo, anche quando non sto materialmente scrivendo. E se mi rifiuto la mia Musa mi prende per la gola e non mi lascia andare finché non mi metto a scrivere.
Qual è il tuo scarto rispetto alla narrativa odierna?
Ogni scrittore è un universo a sé, non credo si possa parlare di narrativa ‘odierna’ o ‘passata’. A volte ci sono cose lontane millenni nel tempo, ma che ci toccano più da vicino di un romanzo scritto l’altroieri. Io scrivo romanzi storici, mi proietto nel passato; ma studiando storia so che il passato è soltanto l’inizio del filo che ci porta al futuro.
Indicami un ingrediente a te caro per l’elaborazione del capolavoro di domani
Non so se riuscirò mai a scrivere un capolavoro; ma so che qualsiasi cosa degna di essere letta, per quanto banale possa suonare, debba essere scritta dall’anima e dalle viscere. Non si mente con la scrittura; se si finge, se non si sente quello che scrive, si sente e si vede. Non sono una fan di quegli scrittori, come Oscar Wilde, che sono tutti raffinatissima forma, e nessuna sostanza al di sotto. Meglio una scrittura ruvida ma potente, alla John Steinbeck.
Strappa un angolo dalla tua veste perché ci si possa fare un’idea del tessuto: autocìtati.
«Io sono di pietra.»
Come si forma un’opera nella tua officina?
Dipende. A volte cullo un’idea per anni e poi, in un pomeriggio, butto giù tutto. Altre volte l’idea dev’essere elaborata con calma, ma è ritrosa: soltanto un classico incatenamento alfieriano alla scrivania aiuta a tirarla fuori.
Qual è il tuo maggior cruccio, rispetto a quanto hai finora scritto?
Non aver scritto di più.
La critica più intelligente che hai ricevuto diceva che…
Forse, non necessariamente Elena, il mio personaggio, era la persona incompresa che ho descritto; forse, mi disse questo lettore, era davvero una cagna vuota. Benché non condividessi la sua opinione, quel lettore aveva appena compiuto l’azione più importante che qualsiasi lettore, qualsiasi scrittore con un po’ di cuore possa fare: rigirare una storia, osservarne il rovescio. È così che si scopre il nuovo, costantemente, anche in miti vecchi millenni.
(L’immagine di copertina è tratta da qui)
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