Toscanello

Esperimento di lettura di un libro di poesia

Non so chi diavolo sia Michele De Virgilio, che pure è stato così gentile da contattarmi sui social e da proporsi per una recensione su questo sito. No, non è l’attore, ma un giovane poeta (sì, lo so, l’epidemia non si arresta) nei cui versi mi sono imbattuto. Ma tento con lui l’esperimento di una “non-recensione”, di una lettura vera, lineare, contraddittoria. Vada come vada, questa sarà pura fenomenologia letteraria. 

Così, apro e comincio a delibare la sostanza. Con tutti i sospetti del caso. E’ solo acqua fresca? E’ un liquore? E’ un vinello pregiato, birra? Il più delle volte si tratta solo di qualche bevanda artificiosa e gasata.

Rieccoci, un disincantato minimalista. Ti sfida. A tratti ti verrebbe da sbottare, alla fine del quadretto composto: e allora?

Avevo come l’impressione
che una saggezza secolare dimorasse
nei suoi occhi spalancati. Fu quello,
un momento particolare della mia vita.

Quindi?
Però non esibisce muscoli, anzi scatta qualche movenza sospetta, aggraziata. La sintassi si increspa appena, senza inturgidirsi, senza scommettere su paroloni.
Sì, emerge un certo incanto, tra fiaba e distrazione. C’è uno sguardo, una inclinazione sulle cose. Potrebbe esserci del talento. La prima poesia, con la trita metafora sulla scrittura, poteva ingannare, come di fronte a una copia di Magrelli, devitalizzato. Occorre, dunque, assaggiare con più attenzione.
E all’improvviso l’autore osa. Ma con naturalezza:

Quando meno te lo aspetti sorgono delle scale
e Bologna è una sposa tutta da guardare,
e i viali sono così verdi
nei fondi dei caffè pieni di studenti.

E in una piazza c’è un campanile
una roba altissima
ed io vorrei scoparti
sopra quel campanile.

E il profilo si irrobustisce con nuove fragranze: entrano anche rime facili ma non squillanti, nuovi ritmi.
E poi anche divertimenti linguistici:

Ho toccato mani, maniglie, cani.
Mani che toccavano maniglie,
maniglie a forma di mani.

Magliette, maglioni, travi.
Trote che nuotavano come triglie,
treni in cui ho perso le chiavi.

Scafi, scafandri, dadi.
Mani che afferravano bottiglie,
bottiglie scolate negli stadi.

Forse ci stiamo allargando eccessivamente, il flusso segue troppi rivoli.
Rischiamo di perderci. Infatti, eccole, le “cadute”:

Ma vi è qualcosa di sacro nel mio Sud,
che si conserva
da sempre come un amore
in ogni angolo del cielo e si masturba
negli occhi di ogni donna
vestita di nero.

Ci mancava, la retorica.
Continuo a bere. Qualcosa c’era, ma ora i sapori litigano fra loro. Ci sento un po’ di Magrelli, un po’ di Caproni… Mi confondo. Qualcosa c’era, ma adesso i versi allappano.

Nuova sezione: altro salto di registro. Adesso siamo a qualche sbrodolata ironica:

I VERI POETI

Per colazione hanno biscotti o fette biscottate.

Ma ogni volta
che li vado a svegliare
è un problema: c’è chi
si è addormentato vestito e chi
svestito non vuole alzarsi nemmeno –
«perché sente di non avere un corpo» dice. E il bello
è che tu non gli puoi dare torto.
Non per il corpo, naturalmente.
Ma per la mente
che mente come un riporto.

L’angoscia di assomigliare agli altri
loro non la provano: sono unici.
Con tutto quello che la singolarità comporta, s’intende:
c’è chi ritiene normale
trascorrere un intero pomeriggio a cazzeggiare
e chi trova emozionante
nell’immondizia il rovistare

e via di questo passo. Ci mancava giusto guidogozzano a complicare la struttura. Per giunta si fanno mosse circensi su temi scottanti: malati mentali, gente che muore di tumore.
E così comincio a saltare di pagina in pagina. Quando il cartello che certifica il valore del testo è luminoso come un’insegna (“Attenzione: qui trovate dolore vero, pregasi attivare empatia e pietà”), non si può fare altrimenti. Scrivere di un termosifone e suscitare emozione è poesia. Dire banalmente il male è sacrilegio. Ceci n’est pas une pipe.
E infatti la poesia ormai si è irrimediabilmente persa. Ecco, trascrivo la prima parte di un altro testo, ma seguendo la sua vera natura, ovvero andando di seguito:

Studi recenti affermano che i canarini adulti smettono di cantare in autunno e ricominciano in primavera perché in autunno muoiono alcuni neuroni dove i canarini conservano le loro melodie. E in primavera nascono nuovi neuroni crescono in quegli stessi punti. È il processo detto della neurogenesi e dipende esclusivamente dalle staminali nel cervello.

Questa è prosa, perché barare? Manca appena una virgola o una congiunzione.

Se non altro, l’ultima sezione sembra risintonizzarsi su qualcosa di più leggero, e quindi di più pesante. Funziona meglio così: un minimalismo saggio, che non rischia cadute, e che potrebbe sfruttare un sovvenire d’aria, una increspatura, la felicità di un’immagine semplice:

Quando esco la mattina,
un caffè e una conchiglia,
il giornale ben piegato,
il saluto al vicinato,
la signora che sistema i fiori,
è lì, in quel preciso momento,
che ritorno bambino,
che sono contento.

Forse non sarà particolarmente originale o determinante nella tradizione contemporanea (ma chi lo è più, ormai), ma questo De Virgilio dovrebbe rimanere intonato a questa voce disincantata, come di chi passeggia e guarda in giro “Dopo aver fumato un Toscanello rosso”. Qui l’ironia potrà anche permettersi di essere birichina:

Le note
a margine del nostro amore
non spiegheranno il nostro offenderci.
Semmai daranno peso
al nostro arrenderci. E la colpa
d’esser stati sciocchini
ci farà venire il mal di testa
come una canzone di Tiziano Ferro.

Senza bisogno di scandalizzare, come quando si scivola di nuovo in semplici volgarità:

Fu capace, con un solo pompino,
di bersi 600 milioni di uomini.

(Laddove la volgarità, sia chiaro, non è nel contenuto, quanto nel cattivo gusto di chi vuole mettere in groppa Catullo a Caproni, e non ha la classe di Penna per trovare una sintesi adeguata).
Anche perché poi volgarità e banalità sono contagiose, il gusto prende, ci si sente disinibiti: come dimostra l’ultima sezione della raccolta, piena di freddure pseudo-civili e altre quisquilie.

Basta, siamo arrivati in fondo. Che peccato, ho la bocca impastata. E quasi certamente sarò incasellato fra gli arroganti e gli antipatici da parte di un altro poeta incompreso, che si era gentilmente proposto di farmi compagnia.

Un retrogusto amaro mi rende faticosa la deglutizione.

Dovrò mettermi a leggere qualcosa di più compiuto.
Qualcosa di secco, ad alta gradazione.
Ma prima occorre prepararsi.
Acqua. Della semplice acqua. Da girarsi in bocca, senza bere, e poi sputare.

“Amore, dov’è finito quel libro della ragazza e del treno che hai letto l’estate scorsa?”

 

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