Narrativa d’oggidì: Emanuele Trevi
Le risposte laconiche di Emanuele Trevi rivelano uno spirito acuminato, teso ad arrivare fino in fondo alle richieste che la parola scritta impone
Perché scrivi?
È un’abitudine contratta in tenera età (a partire dai quattordici anni). Scrivere crea un’energia positiva, è uno spazio di solitudine e concentrazione molto gratificanti.
Qual è il tuo scarto rispetto alla narrativa odierna?
Nessuna fiducia nella trama, nel “ben fatto” artigianale, nel “genere”, insomma in tutta quell’ideologia del prodotto leggibile e vendibile che impera oggi.
Indicami un ingrediente a te caro per l’elaborazione del capolavoro di domani.
Follia, provocazione, cose del genere.
Strappa un angolo dalla tua veste perché ci si possa fare un’idea del tessuto: autocìtati.
Da dove rispondo, non ho sottomano nessuno dei miei libri, e mi accorgo di non avere imparato a memoria nulla di quello che ho scritto.
Come si forma un’opera nella tua officina?
Idee staccate tra di loro che piano piano si rivelano come parti di una stessa idea, di una stessa storia.
Qual è il tuo maggior cruccio, rispetto a quanto hai finora scritto?
Certe censure, che mi hanno impedito di andare più a fondo.
La critica più intelligente che hai ricevuto diceva che…
Un articolo di Sandro Veronesi che parlava dell’essere sempre allievi, apprendisti.
“Come si forma un’opera nella tua officina?
Idee staccate tra di loro che piano piano si rivelano come parti di una stessa idea, di una stessa storia.”
Sento una notevole consonanza con questa ed altre risposte.
Molto interessante, grazie.