Narrativa d’oggidì: Claudio Bagnasco
Claudio Bagnasco corre verso il limite, perché sa che solo in quel luogo incandescente si può trovare, infine, una pace tesa, una pazienza alacre
Perché scrivi?
Dando tre brevi risposte, che poi a ben vedere sono una sola, dico che scrivo per fare di necessità virtù, perché ho paura della morte, per donare agli altri qualcosa di ben fatto (e, spero, di bello).
Qual è il tuo scarto rispetto alla narrativa odierna?
Non so se ci sia uno scarto tra la mia narrativa e il resto della narrativa contemporanea. Per esserne certo dovrei aver letto tutta la narrativa contemporanea, e rinvenire poi nella mia scrittura dei tratti distintivi rispetto a tutti gli altri scrittori.
Senza far troppo i pignoli, tuttavia, individuo in molta narrativa di oggi una scarsa propensione a ingaggiare un corpo a corpo col limite. Sia nel senso del proprio limite stilistico, che nel senso dell’indagare il Limite. Ecco: io credo di provare ad avvicinarmi a quel luogo incandescente.
Indicami un ingrediente a te caro per l’elaborazione del capolavoro di domani
Anche questa domanda è impervia. Dovrei sapere dove andrà la narrativa di domani, per rispondere. Posso però cavarmela dicendo cosa ho sempre trovato nei capolavori di ieri: e cioè il particolare che dice l’universale.
Strappa un angolo dalla tua veste perché ci si possa fare un’idea del tessuto: autocìtati.
Vorrei regalarvi un piccolo testo inedito. Sto scrivendo una serie di brani che potrebbero essere degli aforismi lunghissimi o dei racconti brevissimi. Per prudenza li ho chiamati, provvisoriamente, cose.
Una di queste cose fa così:
«Ottavio non riesce a saziare né la sua sete di conoscenza né la sua fame di cibo. Giorno dopo giorno, impara e ingrassa. Quasi non c’è disciplina che non padroneggi, né piatto di qualunque cucina che non riconosca già dal profumo.
Una sera, a metà cena, Ottavio ha un malore.
Dopo la visita, il dottore gli impone una dieta rigorosissima.
— Ma mi ha levato quasi tutto!
— Se vuole vivere…
Ottavio si concentra allora sulla conoscenza. Eppure non riesce a tenere più niente a memoria. Ogni minimo concetto gli risulta oscuro. Scopre così che la sua eccezionale capacità di apprendimento non gli proveniva dalla mente, ma dalla pancia»
Come si forma un’opera nella tua officina?
Con molta pazienza. Ci sono poi, è vero, illuminazioni felici, immagini o costrutti che funzionano alla prima, stupendo pure me; ma sono visite inattese e sporadiche. Diciamo che la pazienza, e lo studio, e la passione, e (mi auguro) un poco di talento, concorrono a far sentire quelle illuminazioni a proprio agio, offrendo loro un ambiente il più possibile confortevole.
Grande importanza ha poi il momento della rilettura, e il conseguente dimagrimento del testo: operazione fondamentale anche per sfrondare insicurezze e autocompiacimenti, due insidie opposte ma in fondo identiche.
Qual è il tuo maggior cruccio, rispetto a quanto hai finora scritto?
Come disse Cristina Campo, avrei voluto scrivere molto di meno.
La critica più intelligente che hai ricevuto diceva che…
Sono fortunato: finora ho ricevuto tante critiche intelligenti, e poche critiche pretestuose o idiote. A commuovermi sono soprattutto le parole dei non addetti ai lavori: senza sovrastrutture o attacchi di narcisismo acuto, l’autonomia e l’acutezza possono compiere miracoli. Ma la cosa più intelligente me l’ha detta Paolo, grande amico e grande lettore: «Sei lo scrittore più serio che io conosca».
Dove con serio intendeva aggettivare il mio approccio alla scrittura, al di là degli esiti.
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