Narrativa d’oggidì (1)
«Meravigliosi tempi d’abbondanza in cui fioriscono talenti a decine a ogni annata! Facciamo un po’ l’appello, cominciando da alcune nuove leve. Allargheremo presto lo sguardo, però, verso tutti quelli che riusciremo a stuzzicare e che vorranno stare al nostro gioco semiserio, perciò serissimo».
Con queste parole si avviava, sul 58 della rivista «Atelier» (giugno 2010), il Carotaggio grullo e geniale per tastare la narrativa d’oggidì, proseguito in cinque occasioni fino al numero 63 (settembre 2011). Con una formula volutamente giornalistica e pretestuosa, la rivista prestava ascolto ad alcune voci, a partire dai «talenti freschi freschi», nella speranza però «di sentire, a loro piacendo, i campioni più stagionati»: «chissà che non abbocchi», si affermava esplicitamente, «qualche pesce tanto grosso da farci ribaltare: ci sarebbe di meglio, che trovare qualcuno lesto a darci, gratis, una sonora lezione?». Alla fine, hanno aderito all’inchiesta 30 autori:
«La messe è davvero rigogliosa: immaginiamoceli intruppati come in una bella foto di classe, anche se pochi sono quelli che stanno imbalsamati nel rispetto del gruppo: ciascuno ha la posa del fuoriclasse, chi a mostrare i muscoli, chi lo sguardo feroce, chi una finta mansuetudine da predatore che prepara l’agguato. La vittima siamo noi. O forse loro stessi?».
Al di là della discutibile separazione tra freschi e stagionati, si è registrata una minore disponibilità dei “big” a lasciarsi prendere nella rete del gioco. Questa, tuttavia, è una constatazione, non un giudizio. Del resto, il nostro interesse principale era esattamente rivolto alle voci più nuove della scena attuale, perché spesso proprio la registrazione dell’oggidì tempra le passioni al fuoco della caducità di ogni cosa. Per riciclare le parole spese sulla rivista: «C’è chi ha appena esordito, chi ha già trovato orticelli da coltivare, chi a vent’anni è già un nome, chi non è nessuno e si espone al rischio di diventare chiunque, chi lavora ancora nel folto, preparando la crescita lenta, ma inesorabile, della propria opera. Per pizzicarne qualcuno, giusto per sentirne il ruggito o il miagolio, abbiamo lanciato una manciata di domandine sciocche e malandrine, tanto van di moda e nessuno capirà l’intenzione micidiale. All’orecchio dei lettori, per ora, l’autorità di cogliere un timbro familiare che li convinca magari ad avvicinarsi — e noi fra essi, pronti a incrociare i gomiti con qualcuno per saggiarne il fiato, tra avvistamenti sporadici, incursioni fameliche, fratellanze inattese». La giovinezza è fiamma da alimentare e sfruttare fino all’ultima scintilla.
Qual era dunque lo scopo di un’inchiesta così impostata? Forse soltanto quello di offrire un intrattenimento gradevole, eccitato dalla sensazione di poter prima o poi, più o meno fortuitamente, incappare in una suggestione da approfondire, magari sulla scorta di qualcuno degli autori che hanno accettato di chiacchierare con noi. La speranza, ovviamente, era che il piacere di intrattenersi con questi scrittori non fosse solo del curatore, ma anche del lettore.
Ma si può rispondere in modo intelligente a domande sommarie e, diciamolo pure, spesso al limite dell’idiozia? Noi crediamo di sì, magari anche denunciandole come tali. La parte “grulla”, infatti, spettava interamente al curatore dell’inchiesta, quella “geniale” agli autori. Ci sembra che l’esperimento sia in tal senso riuscito, anche se l’elaborazione dei dati resta appannaggio del lettore. Domani, comunque, anche il responsabile del gioco proverà a tirare le somme, a modo suo.
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