Insegnare letteratura
Qualche giorno fa una studentessa intelligente (ce ne sono ancora, sì, e più di quel che si crede) alla fine della lezione è venuta a esprimere il suo rammarico perché l’ora si era svolta sostanzialmente senza affrontare direttamente i testi dell’autore in questione. Avevo scelto solo alcune citazioni dalle opere, le avevo ritagliate in bigliettini e distribuite a caso agli alunni, che dovevano leggersele e scambiarsele liberamente, per avviare in seguito una discussione. Avrei voluto spiegarle le diverse ragioni alla base delle mie scelte; mi sono limitato a rassicurarla. Fosse per me, la letteratura si insegnerebbe così, semplicemente leggendo e commentando i testi.
Se si dovessero ascoltare i genitori, invece, occorrerebbe tornare alla scuola di quarant’anni fa, in cui un docente è soltanto l’intermediario fra l’alunno e il manuale scolastico: la sua mansione è quella di leggere e spiegare il libro. Chiedi ai ragazzi di oggi di studiare da soli la biografia dell’autore o il quadro introduttivo di un’opera (per confrontarsi, ci mancherebbe, in classe), mentre tu prepari slide, mappe concettuali, video, elementi che possano stimolare la riflessione, predisponi una lezione che segua un percorso di ricerca, quasi una trama narrativa… e passi per un lavativo.
Innovare, si sa, è complicato in ogni campo, ma forse nella scuola è ancora più complicato. E c’è anche un buon motivo: la scuola deve preservare il cuore della tradizione. Non venite a ricordarlo a me. Eppure, è bene vigilare sui pesci rossi costretti a salire sugli alberi:
Avessi a disposizione un’altra vita, proverei a scrivere un manuale di letteratura rivoluzionario. Intendiamoci, quelli attualmente in circolazione sono bellissimi – ma, semplicemente, sono insostenibili. Non hanno affatto presente le finalità dell’insegnamento dell’italiano anche nel triennio delle scuole superiori. (In quanto alle finalità generali dell’insegnamento di italiano, ne ho parlato qui). Pensateci: un docente all’anno ha a disposizione teoricamente 132 ore. Sperando sia di sana e robusta costituzione, a queste andranno comunque sottratte le ore per le verifiche e le interrogazioni, per le fasi di lavoro in classe (per esempio, esercizi di scrittura, o recupero di qualche nozione di grammatica o qualche approfondimento sulla retorica). Ora, come è possibile in 100, o anche 120 ore, attraversare secoli e secoli minuziosamente descritti?
I ragazzi stessi sono abituati all’addestramento e intendono ormai la scuola con quell’atteggiamento rassegnato (ma anche comodo) che si assesta sullo schema del “leggi-ripeti-fai”. Peccato che la vita non ti porrà le domande che diventano il repertorio della finzione scolastica, la sindrome del coro di Ermengarda, per capirci. Il risultato è evidente a tutti. Apriamo l’avventura della scolarizzazione accogliendo bambini che hanno infinite domande e sono entusiasti e hanno quella loro naturale e straordinaria propensione al pensiero divergente; alla fine li restituiamo al mondo, al termine della catena, come giovani svogliati, che faticano a comprendere il senso di un romanzo, che non hanno più desideri folgoranti da inseguire e che di fronte a qualsiasi questione sociale urgente hanno sempre la medesima risposta: “Boh”.
Esagero, lo so, ma i paradigmi dell’educazione andrebbero profondamente ripensati:
Così capita che un insegnante che voglia smuovere un po’ il pensiero si ritrovi inseguito da un preside che suggerisce, considerata la vox populi, che si segua un po’ di più il libro. Già, il manuale di letteratura, di questo volevo parlare. E che si fa, in questi casi? Si spiega che un manuale è un testo di consultazione, da far funzionare con senso critico? Che gli attuali libri di testo sembrano scritti con l’unico scopo di creare esperti di letteratura italiana, quando invece i nostri studenti si occuperanno di ben altro, nella vita? Che seguire il manuale di letteratura significa tornare alla lezione frontale e tralasciare tutte le altre metodologie possibili? (Qui ne indico 11 alternative, se interessano a qualcuno). E vallo a spiegare che tu non vedresti l’ora di leggere, di stare sui testi, di costruire intelligenze a partire dall’arte della fruizione estetica e della comprensione. Vallo a spiegare che devi rendere conto di una classe che ha lavorato benissimo, probabilmente, nell’anno precedente, ma che è indietro di centinaia di pagine, ed è composta da ragazzi che hanno strategie di attivazione ben diversificate e che molti di questi non sarebbero attualmente in grado di seguire un insegnante che spiega un testo a un ritmo di lavoro decente. E così via.
Ma si sa, vox populi vox dei, quindi alla fine torni a chiederti ancora una volta: “Ma chi te lo fa fare?”. La maggior parte dei tuoi colleghi del Bel Paese insegnano la letteratura come si insegna da decenni a questa parte. Mentre salgono le scale dell’istituto fanno mente locale sul programma della classe, poi in aula aprono il libro e seguono il canovaccio: spiegano, saltabeccano di pagina in pagina esibendo la loro erudizione, si soffermano sui soliti testi, quelli che commentano da vent’anni e che sono alla base della scelta del manuale di letteratura, al più chiedono il parere degli alunni più svegli, chiacchierano con loro. Se sono brillanti, cercano di attualizzare il messaggio di un autore che ci parla da un altro mondo (quando il problema è esattamente l’opposto, cioè insegnare ai nostri alunni a uscire da questo mondo, per rientrarci con spirito critico). Perché dunque preparare materiali multimediali, cercare di mostrare agli studenti il cuore di ogni problema, preoccuparti delle dinamiche di classe e in particolare degli studenti che vengono tagliati fuori da queste pratiche, costruire mappe concettuali che vogliono stimolare il pensiero astratto e fornire strutture generali per la comprensione? Perché fare tutto questo e tanto altro ancora?
Del resto qualsiasi manuale di letteratura diventa un museo di reliquie. L’opera esiste nella sua indistruttibile unità, eppure noi non facciamo altro – non possiamo far altro – che antologizzare. Vi immaginate un volume di arte in cui non compare mai nessuna opera intera, ma solo particolari su particolari? I docenti di letteratura sono (quasi) tutti feticisti inconsapevoli, credetemi.
Per questo mi carico sulle spalle la mia solitudine. Non posso permettermi il privilegio, davanti a più di venti alunni, di scegliere consapevolmente di parlare solo a quattro/cinque di loro, che attualmente non escludono magari l’ipotesi di iscriversi a Lettere. Non ho intenzione di farmi insegnare il mestiere da chi nella vita porta avanti altre carriere, ben più redditizie ma non per questo più nobili. E non mi rassegno alla rassegnazione dei colleghi.
Mi preparo alla prossima vita e prendo appunti, per scrivere un manuale di letteratura rivoluzionario.
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