Teorema qualità. Lettera aperta alla generazione TQ
Scrivevo questa lettera alla Generazione TQ nel 2011. Già due anni dopo ci si chiedeva che fine avesse fatto il “movimento”. Ogni tanto, qualcosa accade ancora, anche con ottimi presupposti e sacrosante prospettive, ma poi tutto evapora.
Seguiamo pazienti il ciclo dell’acqua, finché il paesaggio non riacquisterà una forma narrabile.
Qui, ricade dalla nuvola la stessa goccia di sette anni fa.
Teorema qualità.
Lettera aperta alla generazione Tq e a Mario Desiati in particolare, unico fra gli iniziatori del movimento che conobbi, in tempi non sospetti
Cara Tq e soprattutto caro Mario Desiati,
ho avuto rapporti molto intensi con qualcuno che già oltre quindici anni fa (mannaggia: quindici anni fa!) si era mosso per uscire dalla linea d’ombra e aveva anche lui impostato, inclusivamente e pretestuosamente, un discorso generazionale pur di trovare un punto di applicazione utile per imprimere un input virtuoso a una situazione di stallo. Rispetto al vostro attuale tentativo noto molte somiglianze, ma altrettante differenze. Per esempio, allora quel tale si applicava al solo ambito della poesia, una nicchia che permetteva una focalizzazione dei temi e dei problemi ben più definiti; non poteva contare sulla vostra fragorosa risonanza mediatica, sia perché altri erano i tempi e i mezzi sia perché, allora, quelli in qualche modo convocati nell’idea di un’opera comune erano ventenni davvero precoci e sconosciuti; soprattutto, limitava il proprio campo d’azione alla letteratura, senza tradursi in esplicite dichiarazioni politiche (per quanto fosse animato, beninteso, da uno spirito decisamente militante). Proprio in ragione di tali precedenti, comunque, non posso che guardare con molta simpatia al vostro tentativo, che mi sembra l’ennesimo esempio non soltanto di attivismo giovanile, già in sé sacrosanto persino nelle sue inevitabili ingenuità, ma di necessaria reazione ai mali del nostro tempo, privo di una qualsiasi politica culturale degna di tale nome.
So già quali critiche si possono avanzare automaticamente al vostro movimento, senza nemmeno esaminarne le dichiarazioni. E spiegare la funzionalità di un discorso generazionale (quante parole andrebbero barrate o sospese tra virgolette, perché cariche di storia e di inflessioni ideologiche che innescano fraintendimenti o idiosincrasie?) sarà impresa titanica, se non impossibile. Ma so anche che siete consapevoli più di me del muro di gomma che avete deciso di bersagliare e conoscete bene le dinamiche implicite a ogni gruppo o movimento, con le sue fasi nascenti (cariche di entusiasmo), di istituzionalizzazione (le più produttive), e di disfacimento (quelle critiche), perché il ciclo infine riprenda animato da altre iniziative. Non voglio in ogni caso che la mia precoce esperienza e la conseguente disillusione mi paralizzino, per quanto sia su molti punti del vostro programma piuttosto scettico, ma sento di non potervi scrivere se non da una posizione insieme di appartenenza e di distacco.
La ragione primaria per cui guardo con molta simpatia a quanto state facendo è semplice e profonda: ogni “operaio della conoscenza” (scrittore o altro) vive una dimensione costitutivamente e dolorosamente ambigua: da una parte sprofonda sempre più nella solitudine, dall’altra ogni sua scelta, persino la minima sfumatura stilistica, si radica nel sogno di una comunità. Ogni lavoratore della conoscenza è un uomo solitario (e talvolta, quindi, delirante) che tenta di fondare, o rifondare, una civiltà – e si declini pure nel piccolo questa frase reboante, parlando magari di spazi pubblici, di nicchie di resistenza, di cellule di convivialità e via precisando. Per noi postmoderni, proiettati in una dimensione sociale tanto limacciosa e differente da quella del secolo scorso, non è facile trovare linguaggi e modalità nuove per “fare network” e edificare una nuova forma di cittadinanza senza scontare le pecche dei movimenti novecenteschi che ci hanno preceduto o i limiti dei potenti mezzi che ci fagocitano. Lo state sperimentando da voi, fin dalle primissime critiche e defezioni. A me viene in mente anche il lavoro scolastico, il difficile (quanto entusiasmante) confronto con i colleghi per creare piattaforme didattiche condivise, sempre aperte e rinnovabili, morsi dalla responsabilità sociale che il ruolo di insegnante impone.
Perché allora non aderisco ufficialmente e mi metto a disposizione del vostro progetto, considerate le esperienze pregresse? Non certo per un dubbio nannimorettiano: “mi si nota di più se vado o se non vado?”. Credetemi, chi passa la linea d’ombra davanti agli altri deve scottarsi ben bene, quindi scontare il sacrificio necessario a vantaggio di chi verrà dopo, fino a rientrare verso il proprio inferno ormai del tutto estraneo ai problemi della visibilità. (Qualcuno dirà che è la storia dell’uva acerba: mi sta bene). Imparerete anche questo – anzi, so che state cercando alternative a tale dinamica, dando democraticamente spazio a tutti, turnandovi all’avanguardia. Che bello. Ma come farete, mi chiedo sinceramente, ad andare tutti d’accordo? Come discuterete in così tanti, senza darvi una struttura gerarchica? Qualcuno che si assuma la responsabilità (per tutti!) e che magari al primo passaggio brusco venga additato e fatto fuori, mi sembra, alla fine, tristemente necessario. Servono dei leader per chi fa politica, e parliamo pure di leader positivi, che non si circondano di semplici gregari. Chi di voi avrà questo coraggio?
Ammettiamo, tuttavia, che voi sappiate trovare la formula per risolvere ogni dilemma organizzativo e riusciate a passare alla fase realizzativa. Qui si parrà la vostra nobilitate. Perché, a dirla esplicitamente, i punti più salienti delle vostre dichiarazioni iniziali mi sembrano troppo ovvi per meritare un’adesione. Il fatto cruciale, infatti, non è volere la qualità contro un mercato che spesso la soffoca, ma andare d’accordo sui parametri di valutazione e trovare i modi per una circuitazione virtuosa e sostenibile di tali valori.
Comunque, per quanto sia troppo facile ridurre il vostro programma a un desiderio di conquista di potere contro presunti padri (ma almeno ci fossero padri con cui confrontarci!) o a consorzio privilegiato (autoeletto, peraltro) di certificazione di qualità, temo che i vostri intenti puri dovranno giocoforza sporcarsi in tale dinamica, di cui alla fine non bisogna avere paura. Va detestato chi cerca il potere per il potere, non chi si guadagna autorevolezza sul campo per amore di un bene comune.
In tale prospettiva, so che siete per il rispetto delle divergenze, so che vi sta a cuore la “bibliodiversità”, e ciò mi rassicura. Ma chi oserebbe propugnare il contrario? Quello che non capisco è come si possano accordare simili tensioni contrapposte: qualità e diversità. Io mi ci arrovello, gestendo queste pagine, da troppo tempo, e ancora non sento di avere certezze: forse per questo ogni tentativo di condivisione del mio progetto è durato quel che è durato. Avere il coraggio di distinguere l’oro dall’ottone è il talento e la responsabilità di ogni esperto, nel proprio ambito, e ciò varrà tanto più per chi, come voi, chiede esplicitamente la rinascita (o la reinvenzione) di una figura di intellettuale pubblico. Mi si dirà che state agendo per cambiare le regole del gioco, piuttosto che per propugnare un modello; ovvero, che volete promuovere le circostanze che rendano possibile l’affermarsi, meritocraticamente, di figure di riferimento. E sia! Ma il problema non è la costituente, è la vita civile che ne consegue.
Lo so, voi avete esplicitamente dichiarato di essere un movimento politico e non estetico. E sia! Ma questo sposta semplicemente i problemi a un altro livello. E, siccome dopo Gobetti stento a trovare riferimenti politici, perdonerete se, per quel che mi riguarda, preferisco restare negli ambiti letterari e focalizzare in essi il problema.
Qui, l’invito che vi porgo è uscire definitivamente dalla linea d’ombra anche dal punto di vista estetico. Non è una trappola, ma la vera questione che state rimuovendo. La proliferazione degli scrittori in libreria non sembra più sostenibile nemmeno a voi. Non è pensabile benedire ogni lavoro intellettuale. Spiegatemi dunque come si riconosce la qualità: per essa sarei pronto a battagliare in prima persona anch’io. Del resto, datemi la chiave della meritocrazia e vi costruirò il migliore dei mondi possibili. Se non vi chiarirete su questo punto, ho il sospetto che finirete presto per maledirvi a vicenda. Fraternamente, certo. Ma sarebbe un film già visto.
Solo dopo aver chiarito il teorema della qualità sarà possibile affrontare i problemi connessi: come convincere gli editori a pubblicare una tale opera, i librai a tenerla in libreria e i lettori a comprarla. Il medesimo teorema andrà poi semplicemente adattato alle altre questioni: la valorizzazione dei traduttori, degli insegnanti, dei gestori di spazi pubblici e insomma di tutti i «lavoratori della conoscenza».
Dimostratemi di saper gestire il conflitto estetico tra di voi, senza evitarlo. Mettete in pratica i vostri imperativi etici su questa ideale cartina al tornasole (del resto, siete o non siete per lo più scrittori?), fatemi vedere come costruite comunità dentro la diversità di vedute, come tramutate le divergenza in energia per il reciproco miglioramento. Più che a me, dimostratelo ai nostri padri. È questo il vero punto di rottura della filiera: il resto è scontata sociologia. Questo è il punto di superamento di ogni generazione, perché è il punto stesso della rigenerazione. Ditemi come si può vincere con e per il nemico: c’è altra politica che abbia senso? In questo modo diventereste padri veri, e avreste in custodia il bene più prezioso da tramandare.
Caro Mario, quasi quindici anni fa qualcuno cercava di dirti queste cose, ma il fatto stesso che ti abbia poi perso di vista dimostra il suo fallimento. Quando sei uscito allo scoperto, lanciando l’iniziativa, ho acuminato i sensi per cogliere la tua parabola, per vedere come avresti fatto meglio. Poi, però, ti sei defilato. Perché? Qual è l’errore originale che impedisce il passaggio dalle buone intenzioni a una buona pratica? Io credo che la grandezza di un intellettuale si misuri anche sulla capacità di analisi di questo passo fondamentale.
Vorrei sentirti ragionare a fondo sui motivi che ti hanno spinto ad agire e poi a contrattare, dal momento che, per quel mi riguarda, mi auguro sinceramente che tu, o qualcuno della tua generazione, riesca prima o poi nell’impresa.
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