Scomfort
Una volta mi affidavo all’arena dell’opera comune per proiettarmi in nuovi orizzonti. Ingozzavo suggerimenti, sprofondavo in ammirazioni, spartivo ambizioni, spiavo desideri, mi fendevano critiche, assorbivo silenzi, addomesticavo paure, accettavo sfide, sorbivo veleni, e a mia volta colpivo, cospiravo, ispiravo, difendevo, curavo, travisavo e amavo.
Quella era la mia esaltante scomfort zone.
Poi fu lo sconforto, che mi ha rovesciato in una definitiva profezia privata.
Ora, il rischio maggiore di questa nuova dimensione è il soffocamento della creatività in una zona di comfort. Anche a livello professionale, come insegnante, devo vigilare per mantenere desta l’inquietudine che produce rinnovamento e innovazione. Cambiare classi e confrontarsi con nuove generazioni aiuta, ma la scuola, a livello macroscopico, è un sistema gattopardesco – come ha dimostrato anche il nuovo esame di maturità.
Anche il monaco, a piedi nudi sulla terra o fra le mura della sua cella, può affogare il suo estremismo in una disciplina finalmente appresa, per quanto ardua.
Dunque, a che aggrapparsi per raggirare il pericolo ed esporsi, ancora e ancora?
L’estasi. L’estasi prolungata. L’estasi irreversibile – se mai è concessa.
E mi sono rimaste due finestrelle per perseguire questa ricerca: la lettura e la scrittura. È qui che mi rovescio, mi perdo, mi inseguo, mi dimentico.
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