Dal diario alla letteratura
Ma tutta questa bella favola ancora non basta: deve diventare storia.
Che cosa spinge un uomo a pubblicare i suoi versi? Altra domanda banale e inquietante. «Si scrive per uccidere», mi sono risposto poi, convinto che la risposta celasse se non una colpa, un atto di responsabilità, un gesto per nulla innocente.
A un tratto, si ha la sensazione di aver prodotto qualcosa che debba valere al di là della propria esperienza personale. Si inizia a scrivere per guarire, si prosegue per ferire. Si comincia tracciando il proprio profilo sul foglio, si intravede l’altro.
Ma l’offerta comporta l’offesa. Perché si tratta di un omaggio grandioso, con molte pretese. Lo sa bene la ragazza che riceve una poesia d’amore; lo capisce il poeta pronto a cantare anche nel vuoto più assoluto, perché il suo gesto è davvero inutile, gratuito, pieno di senso immanente. (Parlare ai fiori è il colmo dell’amore). Anche se, terminato il canto, quando il poeta torna ad ascoltare (chi canta non ascolta, si ascolta) rimbomba l’orrore del silenzio intorno a sé.
A questo silenzio ciascuno, umanamente, reagisce come crede. Qualcuno ha l’ardire di combatterlo: vuole disperatamente difendere ciò che ama e non accetta che il mondo non si accorga o addirittura svilisca ciò che per lui rappresenta l’epifania di un senso, un punto baluginante in cui la vita si manifesta compiutamente, in uno dei pochi modi veramente autentici, perché in poesia si preserva il mistero nel momento stesso in cui lo si rivela (ri-velare, nascondere in altre forme).
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