Cartelli stradali: quale direzione?

Altre divinazioni per la poesia di domani, di oggi, di ieri

Sto immaginando un testo composto da innesti plurimi, che si muove su piani intersecati. Un testo sghembo, sempre a rischio per l’equilibrio precario, dato dal combinarsi, al suo interno, di forze differenti. Una poesia che concili gli opposti senza essere contraddittoria: chiara e oscura, libera e chiusa.
L’abilità del poeta sarà allora quella di ideare una cornice efficace, di cucire i momenti rivelativi, nello sforzo di tendere l’istante creativo, di svolgerlo, di allargare il testo e portarlo dal frammento a qualcosa di più ampio, in grado di chiamare in causa un’orchestrazione completa. In questo modo il testo non si lascerà imprigionare dalla poetica che sta creando, continuerà in tutti i suoi passaggi a essere creazione e non applicazione.
Per ciò, occorre un rapporto proficuo con il limite costruttivo della poesia. Giudici parlava in tal senso di gestione ironica, io però nell’ironia non sento capacità di costruzione ma solo di rovesciamento e non apprezzo questo falso nichilismo; piuttosto, mi affascina l’idea di una super-coscienza che attraversa la scrittura, che guarda il testo anche dall’altra parte del limite che sta usando, non per negarlo ironicamente, appunto, generando infine versi intimamente contraddittori, frutto di pulsioni contrastanti che non trovano un loro equilibrio (e non dico “sintesi”), ma per osservarlo da un altro punto di vista e rafforzarlo. Il limite, la soglia, è reale se ha due versanti. Ecco perché sento superato, per esempio, il maggior poeta del Novecento, Montale: perché il suo varco è fasullo, solo ipotetico, uno specchio. Almeno a un certo punto della sua scrittura, si avverte che l’evento rivelatore che lascia intravedere è una scusa: il soggetto è saldo e protetto dentro il suo appartamento, dentro il suo sistema letterario di interpretazione del mondo, che non è mai messo in crisi da uno sguardo esterno.
La poesia deve resistere a tutti i livelli di analisi. E il primo livello è naturalmente l’ABC della poesia: ritmo-metro-retorica. Ma non si riduca questa indicazione al mero neometricismo: qui si va oltre, si tengono aperte tutte le possibilità, ovviamente anche quelle del versolibero, purché rechino in sé, materialmente, il senso del pieno possesso degli strumenti formali.
La metrica è dunque la prima soglia da attraversare continuamente, ristabilendola o superandola secondo i continui rilanci imposti dall’ispirazione, che non si acquieta, non si identifica in una poetica.

 

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