Le età della poesia: infanzia
Assistere alla propria nascita – essere esposti alla luce obnubilante dell’inizio – è forse il privilegio e la condanna del poeta.
L’infanzia è naturalmente il luogo della ricezione pura del dono (della vita) perché lì si è ancora immersi nel segreto dell’apertura originaria.
Non si tratta di un mito consolatorio, ma di un mito che viceversa espone al sentimento tragico dell’esistenza, il momento in cui il sentimento dell’esistenza non è ancora segnato dalla parola, ma da un’emozione che vuole affermarsi, senza bisogno di svelare il proprio oggetto: l’emozione cieca della vita che non fa altro che affermare sé stessa, sopra tutto. C’è la ferita di un peccato originario, di una colpa che viene dall’infanzia, come l’eredità di un gesto incosciente, come un evento caduto nel nostro pensiero prima che il linguaggio potesse nominarlo (ma in fondo, essendo l’uomo sempre incosciente rispetto a Dio, tutta la vita umana ai suoi occhi è un peccato originale). Il senso del tragico è propriamente il senso dell’ineluttabilità del destino, l’impossibilità cioè di uscire dalla condizione che ci è data. L’ineluttabilità del destino, comunque, è paradossalmente la condizione perché accada l’evento salvifico, che è sempre in eccedenza rispetto alla nostra disperata speranza. Eppure, dentro questi saldi confini, il mito si insedia in un’icona condannandosi a un involontario e doloroso idillio.
L’infanzia, dunque, è un campo di forze abitato dal sacro e da quel luogo il poeta non si è mai completamente allontanato o, meglio, proprio allontanandosene, penetrando l’orizzonte della propria vita, mantiene la promessa formulata allora, ciecamente, con il sangue.
È la vita stessa che ci ha allontanati dall’infanzia, è per fedeltà alla vita che compiamo il destino corrompendolo in altra guisa. È stupido e psicologicamente mortificante restare inchiodati alla presunta innocenza di ogni principio: solo staccandoci restiamo fedeli alla sorgente. Solo a distacco compiuto non siamo più innocenti delle nostre parole, siamo responsabili.
Non c’è purezza nella ricerca dell’origine, non c’è innocenza.
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