Del disinteresse
Ogni opera d’arte si fa luminosa per mezzo di una eccedenza disinteressata di senso, che le è fondamentale.
L’arte impedisce al Soggetto di manipolare il Segno, di farne una propria estensione egotica. La parola poetica diventa opaca anche agli occhi del proprio autore, per cui lo allontana dal ruolo, dall’impegno, lo de-responsabilizza assegnandoli la responsabilità più grande, quella di prendere parte alla creazione senza deturparla, senza tradire la natura. Dunque: non arte per l’arte, vale a dire disimpegno assoluto, ma impegno al di là dei paradigmi umani, dei codici culturali con i loro steccati ideologici: impegno dove il senso si fa, dove il senso è evento creativo, non dove c’è significato desumibile dal codice.
L’arte chiede la responsabilità più grande: rispondere all’altro senza alibi.
In questo rimando all’altro l’arte è una scommessa, un vero azzardo: può rivelare la vanità di tutto, oppure la verità di ogni cosa. Ma il Soggetto non ha potere su questo approdo.
In questo forse l’arte trova il punto di contatto con la teologia apofatica, o negativa, che non trasmette significati, ma raffigura eventi.
L’arte non si assume un impegno particolare totalizzante, perché è essa stessa impegno totale.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!