Corona d'alloro e vanità

Controcanto del poeta

Da secoli il poeta ha perso l’aureola. Eppure, proprio per questa marginalità la sua figura s’ammanta ancora di misticismo, di eroismo, di fascinosa dannazione. Il poeta è diventato il reietto, l’escluso, l’incompreso, il solitario. In virtù di un amore totalizzante e irragionevole, esiliato dalla società contemporanea, ora può glorificarsi nella polvere, perché è il più consapevole della falsità dell’alloro con cui ora s’incoronano insulsi pennivendoli, star della mediocrità imperante. E come gode mentre nell’ombra aspira avidamente l’acre vanità che lo circonda!

Nel Novecento ha appreso l’arte della dissimulazione. Procede sornione, apparentemente distratto. Quando improvvisamente, come se si trattasse di un malinteso, qualche riflettore si posa ancora su di lui, esibisce il suo disagio anche per i canonici cinque minuti di fama che spettano a chiunque. Ma in cuor suo cova sempre il risentimento per l’ingiusta parte assegnatagli nel grande spettacolo del mondo. Ha vestito la scaltrezza con i panni dell’inettitudine, lui, esperto delle arti retoriche!

E invece, semplicemente, il poeta non esiste. Come non esiste l’autore. Esiste, semmai, l’uomo che scrive, finché a un certo punto la sua stessa umanità viene trascesa, quando accade, in un’opera.

Non c’è altro che il testo. Lì può risuonare il passo della poesia. Lì ha cittadinanza la voce di un autore.

E noi, invece, ancora a interferire, a sovrapporre la voce miserella dell’epoca, a proiettare l’ombra di un uomo nel solo aldilà di cui ci è dato fare esperienza…

 

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