Veduta del lago d'Orta

Due poesie (e una nota critica)

Sul numero 100 di Atelier sono state ospitate due mie poesie. Si tratta di testi estratti da un manipolo di inediti (almeno in volume) e che non hanno alcun legame particolare. Eppure, al critico Daniele Maria Pegorari, che si è occupato di redigere una nota critica su questi versi, sono bastati queste due prove per indovinare una costellazione, per perimetrare con perizia una poetica, specialmente per la precisazione finale: chapeau

Ecco il mio contributo per festeggiare la rivista.

DUE POESIE

TEATRO DELLE SELVE *
per Franco Acquaviva

Poi la scena si aprì
per un emendamento
e l’isola parlò:
Nei ricordi il colore non sbiadisce.
Non era vero.
La metrica dei piedi e dei polmoni
non vuole suggestione.
Morde la terra il fiato di chi è perso.
Ma anche quando la musica
è triste, dolce è cantarla. Nemmeno
questo è vero, sebbene
sia inderogabilmente ancora luglio:
per quanto ne sappiamo
tra le balze un camoscio
con paura e ferocia
osserva due bambini da trent’anni
esposti all’avventura su un dirupo.
Non sono mai tornati:
più del ricordo poté il desiderio.
Con tutto ciò, se avessi veramente
tra i boschi udito un canto contadino
di gente che non ha padrone, ecco,
come quei camminanti sul sentiero
che fu di scalpellini,
se avessi smosso con più cura pietre
e foglie e rami avrei raccolto, Julo,
molto prima di te questa poesia.

* Scritta dopo aver assistito allo spettacolo dei Teatri Andanti “Il camminante” (realizzato da “Teatro delle Selve” e “O’ Thiasos Teatronatura”), realizzato lungo il sentiero degli scalpellini tra Alzo di Pella e Madonna del Sasso)

 

LA DIFFERENZA

Persino lei ha un pensiero
indecente
quando in una regione
non ancora esplorata del suo corpo
sgoccia un’idea
di poesia.
Chi l’avrebbe mai detto
salutare così
l’infanzia.
Ma non è sua,
e tantomeno degli altri che affogano
ancora in superficie,
la scena.
Anche gli idioti
amano parimenti.
La differenza è soltanto saperlo
dire, quindi sarà
maldestra e prevedibile
pornografia.

NOTA CRITICA
di Daniele Maria Pegorari

Andrea Temporelli cerca una misura aurea fra l’ordinario della vita e lo straordinario della poesia, fra l’orizzontalità della passeggiata e la verticalità dell’ascensione. E non sarà un caso se uno dei suoi maestri assoluti è Mario Luzi, il poeta del viaggio terrestre e celeste. Anche in questi versi «la metrica dei piedi e dei polmoni» (nella prima poesia) e l’amore degli «idioti» (nella seconda) sono l’evento minimale, l’accadimento eventuale, nemmeno passibile di un significato simbolico, come nella strategia delle occasioni montaliane. E tuttavia c’è qualcosa che fa ancora «la differenza» e non è tanto il discrimine fra il senso e l’insensatezza: si tratta, piuttosto, di assumere la piena e sconsolata consapevolezza della condizione umiliata dell’esistenza. Allora la poesia di Temporelli – la sua stessa militanza ‘marziana’ a favore della ‘patria’ negletta della scrittura – non è illuminazione metafisica, bensì umile sguardo fra «pietre e foglie e rami», appena sotto il pelo d’acqua di una «superficie» che ad «altri» basta per affogare; qui si possono ancora raccogliere i relitti di una dimensione creaturale – biologica e spirituale insieme – che testimonia di una resistenza dell’umanità alla propria alienazione tecnica ed economica.

 

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