La letteratura tra salotti, caffè, palestre e catacombe (partendo dalle aule)
La vita da prof espone a un pericolo: l’assuefazione alla via in discesa. Il cartello stradale è chiaro: “Insegnamento”. Per questa via la logica è semplificare. Colui che sa, il docente, deve portare il sapere a chi è in basso. Il rischio sono il comfort e la presunzione, ma più subdola è anche la sedimentazione nel linguaggio e nel pensiero di quel punto di vista – semplificatorio, appunto. È ben probabile che il prof apprenda con gli anni lo slang giovanile, accolga i tic delle mode, dia al proprio repertorio espressivo (e dunque al proprio pensiero) una curvatura sempre più elementare.
Hai voglia imboccare la strada in salita (cartello stradale: “Apprendimento”) e metterti al traino con l’esempio, hai voglia lavorare con il team dei docenti, puntare all’interdisciplinarità, aprirti a ogni possibile innovazione: il logorio degli anni è inevitabile.
Per fortuna, c’è il pungolo personale della letteratura. C’è l’attrito quotidiano con la pagina dei classici e la scrittura. Si tratta, però, di una via solitaria, e dunque dispendiosa e ricca di insidie (impaludamenti depressivi, precipizi di follia, insani miraggi, mortiferi smarrimenti). Nessuno si salva da solo.
I grandi innovatori lo sanno: per crescere occorre vivere in un ambiente stimolante, circondarsi di persone che ne sanno più di te. C’è bisogno di maestri, si sarebbe detto una volta, quando ancora esisteva la tradizione letteraria (oggi invece c’è solo il mercato). E una volta la letteratura si forgiava (pare leggenda, ma è così) nei salotti letterari, nei caffè. Naturalmente, vi allignava anche l’ipocrisia, la maldicenza, il sospetto, come in ogni ambiente umano in cui si punta all’eccellenza, intossicato dai fumi della gloria. E spesso la tradizione letteraria non è stata per nulla meritocratica, ha promosso i raccomandati e gli scaltri, e sacrificato i reietti, gli autentici avventurieri – ma la perpetua lotta tra canone e anticanone era una promessa, rilanciata nei secoli, di riletture e riscoperte.
In gioventù ho provato a ripetere quel modello. Ho fondato una rivista, ho lanciato un appello alla mia generazione. Ho lavorato per decenni nel perlustrare un territorio comune. Poi è stato inevitabile anche per me imboccare la via solitaria, per svariate ragioni.
Esistono ancora, ambienti letterari stimolanti?
Non mi pare. Esistono ovviamente rapporti personali, luoghi reali di maggiore attrazione (sotto i riflettori della tivù, possibilmente), ma le forze centrifughe sono decisamente superiori. Siamo dunque tutti rintanati nei luoghi virtuali, nei vari social network, di cui si è già detto tutto il male possibile? Pare proprio di sì. Qui, le maldicenze e le ipocrisie non sono nemmeno velate, ma evidenti, e il rischio delle conventicole, dei gruppuscoli, delle vere e proprie sette è palese. E dall’altra parte non c’è più il mostro comune da combattere, la tradizione o il sistema, quindi la scena complessiva è quella di una guerra di tutti contro tutti.
Mi è capitato giusto ieri di sfogliare (confesso, non lo facevo da mesi: si tratta di un peccato mortale, secondo quelli che investono nei social) qualche pagina di facebook. Una cara amica, il cui volto campeggia nell’ideale foto di gruppo del tempo che fu e dei rimpianti che mi sembrano cantare in coro (ma sarà, non ne dubito, un ingorgo di fantasia vivo solo nella mia coscienza), subiva la lapidaria critica di un altro caro amico di gioventù. Posso intuire, e persino in parte condividere, alcune idee critiche di questo secondo amico, come intuisco le ragioni del lungo e generoso percorso dell’amica (si è prodigata in altro modo per lo stesso obiettivo di costruire e preservare un luogo di confronto letterario), ma l’ambiente virtuale non ha permesso alcun dialogo, alcuna “sacrosanta rissa” (*). Non c’è più confronto, lotta d’amore. Non c’è rapporto né crescita, solo astio e fatica, equivoci, amplificazione della solitudine.
In attesa che cambi il vento, comunque, se mai cambierà, occorre compiere la migrazione fino in fondo e costruire all’interno di queste nuove realtà un habitat adatto alla propria dimensione. Le risorse offerte dalla rete ci sono, nessuno lo nega. Da casa propria, ognuno può, virtualmente e se vuole almeno in parte virtuosamente, costruirsi un ambiente stimolante, circondandosi di esperti, seguendo giovani di talento, individuando le rare impronte di qualche maestro ormai perduto, ormai avventurato nel folto del tempo. Ben sapendo che la letteratura all’orizzonte non è più identificabile, abita le catacombe dell’epoca.
Così, baciati sempre più raramente dal confronto reale, spendiamoci, almeno oltre la letteratura, per l’incontro con gli altri: nelle aule, negli ambienti di lavoro, per le strade, ovunque. Poi, tutti a faticare nella sola palestra che conta: la propria personale biblioteca…
Lì, maestri da frequentare e solitari avventurieri da inseguire non mancano.
(*) Vittorio Sereni, Scoperta dell’odio:
Qui stava il torto, qui l’inveterato errore:
credere che d’altro non vi fosse acquisto che d’amore.
Oh le frotte di maschere giulive
oh le comitive musicanti nei quartieri gentili…
Alla notte altre musiche rimanda
la terrazza più alta e di nuovo fiorita
si dilunga la strada fuori porta?
Ma venga, a ora tarda, venga un’ora
di vero fuoco un’ora tra me e voi,
ma scoppi infine la sacrosanta rissa,
maschere, e i vostri fini giochi
di deturpato amore: nell’esatto
modo mio di non dovuto
amore e dissipato, gente, vi brucerò.
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