I Salmi di Davide
Ho un rapporto speciale con il libro dei Salmi. Ha rappresentato il sottofondo di anni esaltanti e feroci della mia vita, mentre fuggivo dalla morte di mia madre e abbandonavo il resto della famiglia per entrare in seminario, a lottare con Dio, intruppato insieme a una masnada di altri ex-bambini, ciascuno con le proprie ragioni del tutto irragionevoli per trovarsi lì. Probabilmente, i salmi sono stati l’incubatrice dei miei primi tentativi poetici – aborti inconsapevoli, naturalmente.
Sono ripiombato in queste preghiere-poesie seguendo percorsi letterari diversi, in seguito: qualcosa di Ceronetti, soprattutto un personale attraversamento di Eliot. Credo siano rintracciabili indizi puntuali del mio ritorno al libro biblico anche nella silloge, La buonastella, con cui ho, di fatto, esordito.
Ora, trovarsi periodicamente impaniati in pagine del “Grande codice” è un dato banale, di per sé. I Salmi sono un’eredità inevitabile. Ma c’è modo e modo di farsi carico di tale eredità e adesso è giunto il momento di un confronto più maturo e compiuto. Mi spinge a tanto il caro Davide – non il presunto salmista, ma l’amico reale – di cui avevo già masticato (allora, lo ammetto, distrattamente) le precedenti “prove” di traduzione (Scanni, Raffaelli editore, 2003), decisamente scomposte, furiose – sperimentali, direbbe un critico. Ora mi raggiunge la poderosa versione data meritoriamente alle stampe da Aragno, con una contiguità ad altri miei percorsi della memoria che si direbbe persino provvidenziale – o diabolica. Sono tornato, per altre vie, ancora lì, alle porte di quel seminario. Sono un po’ meno feroce rispetto ad allora, ma non certo pacificato. E ho tra le mani un libro pesante, come una pietra da caricare nella sacca della frombola.
Per ora prendo fiato, mi concentro. Ma, caro Davide, presto faremo i conti un’altra volta.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!