Le strutture della narrazione
Propongo qui di seguito un testo, sintetico e scolastico, che spiega le strutture della narrazione, secondo le coordinate più tradizionali.
01. Considerazioni iniziali
Qualsiasi forma di racconto, anche non verbale, ha bisogno di alcuni elementi strutturali indispensabili: una storia, cioè una serie di eventi collegati fra loro; un’ambientazione in un determinato tempo e luogo; dei personaggi che compiono le azioni.
Qui prenderemo in considerazione la narrazione letteraria, illustrandone i tratti fondamentali.
02. La coerenza
Il principio di coerenza è fondamentale per qualsiasi testo comunicativo. Per quanto riguarda l’aspetto narrativo, sottolineiamo in modo sintetico tre principi che il racconto deve seguire: il principio di non contraddizione, il principio di relazione e quello di progressione.
Secondo il principio di non contraddizione, nella narrazione non si possono fornire informazioni contrastanti e ogni eventuale incongruenza deve essere giustificata.
Gli eventi narrati, inoltre, devono essere collegati l’uno all’altro secondo una logica di causa ed effetto o comunque di dipendenza. Ogni colpo di scena inattesa dovrà avere la propria spiegazione, esplicita o implicita (principio di relazione).
Al di là della libertà che, come vedremo, lo scrittore potrà concedersi nel definire l’intreccio della propria storia, anticipando o posticipando eventi, alla fine, dopo il processo di ricostruzione delle vicende, il lettore deve poter cogliere la “progressione” della storia, ovvero concepire un inizio, uno sviluppo e una conclusione delle vicende.
03. Le sequenze
La sequenza è l’unità minima del racconto, che possiede una certa autonomia di contenuto e di stile. Le sequenze sono scandite dai cambiamenti di luogo, dai cambiamenti di tempo, dall’uscita o dall’entrata in scena di qualche personaggio, dall’inizio di nuove azioni, dall’alternarsi di tipologie testuali, dagli inserimenti della voce del narratore. Ovviamente, più di uno di questi marcatori può concorrere a un cambio di sequenza.
Quasi sempre, un cambio di sequenza coincide con l’inizio di un nuovo capoverso, ma non tutti gli “a capo”, ovviamente, indicano un cambio di sequenza.
La divisione di un testo in sequenze non è mai rigida, esistono margini di interpretabilità. Non esiste infatti una misura specifica per una sequenza, che potrebbe durare poche righe come diverse pagine. Si parla anche di microsequenze, se l’analisi sarà molto dettagliata, oppure di macrosequenze, che indicano gli “episodi” della narrazione e solitamente coincidono, per intenderci, con i capitoli di un romanzo.
Abbiamo quattro tipologie di sequenze, anche se spesso si trovano contaminate fra loro. Vengono pertanto classificate rispetto alla loro caratteristica prevalente: sequenze narrative, dialogiche, descrittive e riflessive. Le prime due sono elementi dinamici della narrazione, perché esprimono compiutamente l’azione nel suo svolgersi. Le ultime due sono invece elementi statici, perché una descrizione o una riflessione rallentano o addirittura sospendono le azioni. L’alternarsi di queste tipologie di sequenze determina il ritmo del romanzo: un romanzo ricco di avvenimenti e di dialoghi avrà un ritmo incalzante, mentre un romanzo ricco di descrizioni e di riflessioni sarà più lento.
04. Storia e narrazione
In una narrazione occorre distinguere fra il piano della storia e quello del discorso narrativo. La storia è ciò che viene raccontato, il discorso narrativo è il mondo in cui si racconta, che dipende anche dalle scelte stilistiche ed espressive dell’autore. A livello dei fatti narrati, storia e narrazione si differenziano nei termini di fabula e intreccio.
La fabula è l’insieme degli eventi secondo il loro ordine cronologico e logico. All’interno della fabula si riconoscono alcune scansioni tipiche, che andrebbero seguite anche quando si riassume una storia narrata seguendo un particolare intreccio.
La fabula ordinariamente comincia con la situazione iniziale (detto anche di esordio o di incipit). In questa parte della narrazione si danno solitamente informazioni sul contesto e si cominciano a conoscere i protagonisti, che vivono in una situazione di equilibrio.
Questo equilibrio viene rotto da una complicazione che innesca le vicende. Spesso con la complicazione si manifesta l’antagonista, colui che si oppone all’eroe o agli eroi della storia.
Segue lo sviluppo delle vicende. Si tratta degli episodi che scandiscono la storia, le peripezie vissute dall’eroe per superare le varie prove necessarie per raggiungere il proprio obiettivo.
Si giunge così al momento culminante (apice o Spannung), quando si decideranno le sorti del protagonista e l’esito della storia. Quasi sempre questo è il momento in cui l’eroe affronta l’antagonista. Talvolta si riconosce nella storia un apice emotivo distinto da un apice propriamente narrativo.
Giungiamo così allo scioglimento: i personaggi definiscono la loro nuova dimensione, ogni dilemma e ogni questione sollevata dalla storia tende alla soluzione.
Infine, si raggiunge un nuovo equilibrio nella situazione finale. Esistono diverse conclusioni: lieto fine, finale tragico, finale aperto.
Talvolta una narrazione si basa su un antefatto, cioè un presupposto della storia effettivamente narrata, come il celebre episodio della mela della discordia e il litigio fra alcune divinità femminili, che condurrà alla guerra di Troia narrata nell’Iliade.
L’intreccio, invece, è l’ordine con cui il discorso narrativo ci propone le vicende, anticipando o posticipando o tralasciando dei fatti.
Le tecniche principali per l’intreccio sono il flashback (o analessi o retrospezione) e il flashforward (prolessi o anticipazione). Molto utilizzata per l’intreccio è la tecnica dell’inizio in medias res: la storia si avvia da un punto avanzato del suo svolgimento, solitamente dalla complicazione, talvolta anche dallo Spannung o addirittura dalla conclusione. Ricordiamo anche la tecnica del montaggio incrociato, quando il narratore passa da una scena all’altra facendo capire che le due o più scene si svolgono contemporaneamente; la tecnica delle narrazioni parallele, quando due storie, magari apparentemente senza relazione fra loro, procedono autonomamente, fino al momento in cui si intrecciano; la presentazione degli avvenimenti in modo casuale, ovvero secondo un ordine soggettivo che segue magari le associazioni della memoria del narratore.
05. Il tempo
Distinguiamo in un racconto il tempo secondo tre accezioni possibili: l’epoca in cui avvengono i fatti, il tempo della storia, ovvero quanto durano le vicende, e il tempo del racconto, ovvero le scelte con cui il narratore viaggia nel tempo, seguendo il particolare intreccio pianificato per la narrazione.
Il tempo del racconto si analizza considerando l’ordine con cui sono narrati i fatti, tenendo presente tutte le possibili anticipazioni o le retrospezioni, la distanza che intercorre fra il narratore e i fatti accaduti, infine la durata: con quale velocità si muove il narratore sulla linea del tempo? Abbiamo in quest’ultimo caso una serie di possibilità:
- con il sommario il narratore sintetizza diversi avvenimenti, magari anche di lunghi periodi;
- con l’ellissi il narratore omette di raccontarci determinati eventi e compie un salto temporale;
- con la scena il tempo dell’azione e il tempo della narrazione coincidono: ciò accade nei dialoghi;
- con la pausa il narratore sospende l’azione per descrivere o commentare o fornire informazioni;
- con l’analisi il narratore dilata il tempo: ci propone un’azione seguita al rallentatore, per dare maggiore enfasi a quanto sta accadendo.
Nel caso del sommario e dell’ellissi il tempo del racconto è minore rispetto al tempo effettivo delle vicende: il narratore imprime alla storia un’accelerazione.
Nel caso della scena, invece, come detto, tempo del racconto e tempo della storia coincidono.
Con la pausa e l’analisi il tempo del racconto scorre più lentamente rispetto al tempo reale delle vicende, e quindi la narrazione rallenta.
06. Lo spazio
Lo spazio è l’insieme dei luoghi geografici e degli ambienti in cui si svolge la vicenda. Un ambiente solitamente racchiude importanti informazioni socioeconomiche che inquadrano la storia, ma anche qualora ne fosse privo definisce un’atmosfera, concorre alla caratterizzazione dei personaggi. In alcuni generi letterari lo spazio ha caratteristiche piuttosto specifiche che immediatamente ci indicano il tipo di narrazione che ci verrà proposto.
Il paesaggio talvolta assume un valore simbolico, sia che si tratti di un’ambientazione all’aperto (più tipico per storie avventurose) sia che rimandi soprattutto a luoghi chiusi (privilegiati nelle storie in cui i protagonisti vivono conflitti e drammi interiori).
L’ambiente potrebbe essere reale o immaginario, onirico o verisimile, in ogni caso svolge comunque una funzione importante all’interno della narrazione.
La tecnica principale con cui la voce narrante porta in primo piano lo spazio è la descrizione, con tutte le modalità con cui essa può svolgersi (descrizioni soggettive o oggettive, statiche o dinamiche, impressionistiche o classiche, ecc.).
07. I personaggi
L’elemento principale di una storia sono i personaggi. A rigor di logica, un personaggio non è per forza una persona: persino un un ambiente o un oggetto o un concetto potrebbero diventare protagonisti o co-protagonisti della vicenda.
I personaggi potranno essere storici o di invenzione.
Nella storia possono essere presentati direttamente dal narratore oppure da un altro personaggio o potrebbero anche presentarsi da sé. È possibile infine che si venga a conoscenza dei personaggi attraverso una presentazione mista oppure indiretta.
Per la caratterizzazione dei personaggi dobbiamo prendere in considerazione i loro tratti fisiognomici, i dati anagrafici e sociologici, la psicologia, infine l’eventuale funzione simbolica, ovvero il significato che l’ideologia dell’autore attribuisce loro.
Rispetto al loro atteggiamento distinguiamo i personaggi fra statici e dinamici. È statico un personaggio che non cambia durante la storia. I cambiamenti principali riguardano ovviamente il carattere e la funzione narrativa, ma vanno tenuti presenti anche cambiamenti di altro genere, per esempio quelli sociologici.
La loro dimensione può risultare piatta, se sono personaggi prevedibili e caratterizzati da pochi tratti dominanti piuttosto elementari. Sono personaggi dunque “bidimensionali”, privi di profondità psicologica. Quelli “a bassorilievo” invece sono meglio delineati nelle loro caratteristiche, ma ancora tutto sommato prevedibili. Queste due categorie definiscono dei “tipi”, ovvero delle figure che rappresentano categorie sociali o “maschere” riconoscibili all’interno della rappresentazione del mondo ideata dal narratore. Solo i personaggi a tutto tondo rivendicano invece pienamente la loro complessità di individui, il cui comportamento non è prevedibile ed è in relazione profonda con le vicende. Sono ricchi di sfumature, non sono rigidi nei loro comportamenti anche se restano coerenti, sono insomma vicini alla realtà, rappresentano persone autentiche, con il loro articolato mondo interiore. Sono i personaggi più soggetti al cambiamento.
I personaggi di una storia, per quanto concerne il ruolo, possono essere distinti fra principali (affiancati da vari comprimari), secondari e semplici comparse.
Rispetto alla loro funzione, sulla scorta di Propp, uno studioso che ha ricavato dalla fiabe russe un elenco di 31 funzioni dei personaggi, riconosciamo almeno il protagonista o eroe, l’antagonista o antieroe; lo scopo o oggetto per cui i due sono in contesa. Sia l’eroe sia l’antieroe potranno avvalersi dell’appoggio di altri personaggi, che si definiscono “aiutanti” nel primo caso, oppure oppositori, nel caso prestino il loro aiuto all’antagonista.
All’interno della narrazione i personaggi non sono monadi a sé stanti, entrano in relazione l’uno con l’altro, innescano campi di tensione, e dunque il cosiddetto sistema dei personaggi non è una costellazione statica. Ci sono flussi di energia e di senso che passano attraverso la loro relazione e i vari incroci generati dalla trama.
Ci sono varie modalità con cui i personaggi esprimono i loro pensieri nella narrazione. Attraverso il discorso diretto, si registrano direttamente le loro parole, ben circoscritte dalle virgolette e introdotte da verbi dichiarativi (disse, rispose, ribatté, ecc.). Con il discorso diretto libero si omette il verbo dichiarativo. Ci sono poi le possibilità del discorso indiretto e del discorso indiretto libero. Nel discorso indiretto il narratore riferisce discorsi e pensieri dei personaggi dal suo punto di vista, è introdotto da un verbo dichiarativo seguito dalla congiunzione subordinante ed è tipico delle storie con narratore onnisciente. Nel discorso indiretto libero, invece, vengono omessi verbi dichiarativi e congiunzioni subordinanti e i discorsi e i pensieri dei personaggi sono inseriti nella narrazione. Con il monologo interiore il personaggio parla a un interlocutore presente ma silenzioso, nel caso del soliloquio invece parla a se stesso in assenza di interlocutori reali. Con la tecnica del flusso di coscienza i pensieri vengono scritti esattamente come si presentano nella coscienza del personaggio e scorrono liberamente, senza alcun legame logico, per semplice associazione di idee. Spesso vengono registrati senza usare la punteggiatura e con varie altre irregolarità sintattiche. Esiste infine il discorso raccontato, quando il narratore ricorda a grandi linee ciò che è stato detto, mettendo in evidenza solo le informazioni più importanti oppure i tratti salienti del discorso stesso, per esempio per rimarcare alcune caratteristiche del personaggio che ha parlato. Il discorso raccontato, insieme al discorso indiretto libero o quello legato, sono modalità rielaborate dal narratore; le altre sono modalità in cui parole e pensieri vengono riportati direttamente.
08. Il narratore (e il lettore)
Ogni racconto presuppone un narratore.
Occorre però distinguere il narratore, o voce narrante, dall’autore, che coincidono nel caso dell’autobiografia. Chi racconta la storia può avere dei tratti o caratterizzarsi in modo specifico; per esempio, un autore adulto può far raccontare la storia dal punto di vista di un narratore adolescente.
La voce narrante può posizionarsi all’esterno o all’interno della storia. Quando a parlare è un personaggio della storia, narrata in prima persona, si parla di focalizzazione interna. Noi seguiamo le vicende dal punto di vista, limitato, parziale, caratterizzato, di un determinato personaggio e il narratore ne sa quanto lui, mette a fuoco la vicenda come può metterla a fuoco il suo personaggio.
Quando il narratore è esterno il racconto abbiamo due possibilità: il narratore è onnisciente (e si parla di focalizzazione zero o di racconto non focalizzato), e dunque sa tutto di tutti, conosce i pensieri dei suoi personaggi ed è informato su quanto accade a chiunque, anche spostandosi nel tempo e nello spazio; il narratore è oggettivo, con focalizzazione esterna, e in questo caso la voce narrante ne sa persino meno dei suoi personaggi e si limita a registrare oggettivamente i fatti dall’esterno. Il racconto in questo caso potrà essere personale o impersonale a seconda che tale narratore intervenga (utilizzando la prima persona) e si manifesti oppure resti nascosto (racconto in terza persona). Si parla tecnicamente di racconto omodiegetico quando il narratore fa parte della storia, eterodiegetico quando è esterno e non fa parte della storia.
Per completare la nostra analisi, all’autore potremmo affiancare il lettore.
Questi due esistono ovviamente fuori dal testo, anche se difficilmente si incontrano e si conoscono nella realtà, ma attraverso l’opera autore e lettore stringono virtualmente un patto: il lettore prenderà per vero tutto ciò che troverà nel libro, purché l’autore non tradisca le sue attese, ovvero mantenga la storia credibile e coerente rispetto alle premesse. Naturalmente, ciò che è credibile all’interno del genere fantasy non è credibile all’interno di un romanzo storico.
Già Samuel Taylor Coleridge parlava nella sua Biographia literaria di «willing suspension of disbelief», cioè di volontaria sospensione dell’incredulità del lettore.
Se all’interno del libro, però, l’autore si eclissa in favore della voce narrante, anche il lettore potrebbe restare nascosto dietro la figura di un narratario, ovvero del destinatario presupposto dal racconto. Immaginiamo per esempio un romanzo in cui un figlio stia raccontando la propria storia a sua madre.
Il punto di vero incontro fra l’autore e il lettore resta, tuttavia, lo stile di un’opera. Lì il patto narrativo è messo veramente alla prova e l’orizzonte di attese di un lettore viene confermato, oppure è lì che si gioca la capacità di un autore di conquistarsi il lettore portandolo oltre sé stesso, oltre le proprie aspettative. Oltre alle scelte rispetto alle strutture fin qui analizzate, lo stile riguarda il lessico, la sintassi, le figure retoriche, la punteggiatura, i registri linguistici con cui un autore esprime la propria visione del mondo.
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