Roth Philip

Contro i manuali e le scuole di scrittura. Oppure no?

Se il genio non si può esaurire e chiudere in una definizione, non si può insegnare. Tutto ciò che può insegnare un manuale o una scuola di scrittura è falso, in quanto codificazione standardizzata di qualcosa che, invece, mira a esorbitare da ogni standard. O, quantomeno, si tratta di un insegnamento falsificabile, poiché inessenziale, dal momento che riguarda la carriera letteraria e non il genio. Si può insegnare il mestiere, ciò che concerne la tecnica, la struttura: si può imparare a pattinare sul testo, anche con maestria. Ma il colpo d’ascia che apre all’abisso viene inferto solo dalla vita.

Intendiamoci: se non è chiara la distinzione tra buona letteratura e opera di genio, se si vuole mantenere l’ambigua contiguità con questi due sentieri, aggrappandosi a qualche esempio che sembra smentire l’ipotesi della netta separazione, allora è lecito credere che l’arte sia artigianato trasmissibile. Il fatto è che, se anche talvolta uno scrittore e un vero artista sembrano coincidere, i presupposti e la disciplina dell’uno e dell’altro restano differenti.

Vuoi scientemente perseguire un’ipotetica carriera letteraria, senza precluderti una possibile consacrazione auspicabilmente già in vita o quantomeno postuma, ma intanto lavorando consapevolmente per il successo mondano? Allora le raccomandazioni sono quelle ovvie: datti da fare, leggi e studia, comprendi come funzionano le regole del successo nel tuo campo, dedicati anima e corpo a una graduale ascesa. Prima cerca spazio tra i coetanei emergenti, fatti notare dalle riviste e dai gruppi dove meglio si elaborano le nuove proposte, appena agganci qualche autore affermato fai in modo di primeggiare all’interno della sua clientela, senza comunque entrare in cordate ideologiche troppo strette, a meno che non si tratti di conventicole davvero esclusive e di potere. In questo modo comincerai a pubblicare presso autori più prestigiosi, avrai modo di guadagnarti qualche piccolo luogo di potere per coltivare le logiche di scambio (una poltroncina nella giuria di un premio, uno scranno in università, una paginetta su qualche rotocalco, e così via). Potrai svolgere queste pratiche anche in modo onesto, forse. O, almeno, potrai credere che tutto ciò avvenga in modo naturale, lineare, conforme alla tua tempra di scrittore. Puoi convincerti che il tuo talento (ammettendo che fin dall’inizio tu ne fossi provvisto) non si sia stemperato, intossicato, non si sia incurvato su sé stesso, imbolsito.

Il mito per uno scrittore che si pone entro questa prospettiva potrebbe essere, per esempio, un Philip Roth. Nessuno mette in dubbio, almeno attualmente, la grandezza dell’autore americano, che però, a dispetto dell’immagine letteraria (scientemente costruitasi) di uomo dedito in solitudine alla cura delle proprie opere, fu individuo che trafficò per ottenere consensi, pubblicazioni, premi, relazioni vantaggiose, e così via (Cfr Jacques Berlinerblau, The Philip Roth we don’t know, University of Virginia Press, 2021). Questo dispiacerà ai più, ma non deve interferire con la valutazione dell’opera.

Spesso un autore non è, per indole, scelte di vita, carattere e via dicendo, degno dei suoi stessi libri.

Non è il caso di proiettare delle aspettative sulla biografia a partire dalle pagine. La scrittura, se baciata del genio, è trascendimento dei limiti di partenza, magari anche culturali e tecnici. Dante certamente non lesse tanti libri quanti può averne studiati un intellettuale del nostro tempo, eppure resta inarrivabile. Dostoevskij non ha la scrittura raffinata di Nabokov, eppure ha messo in piedi storie e personaggi che plasmano la nostra immaginazione e calpestano le architetture antropologiche del mondo contemporaneo.

Se la strada della carriera letteraria ha dunque scritto sul proprio cartello: “Con il duro lavoro ce la farai”, il sentiero che punta al capolavoro recita: “Sei sicuro della tua scelta? Ti avviso, quasi certamente non otterrai nulla”. La prima strada ha una meta certa e sempre più alta, scandita da tante gratificanti tappe intermedie, sempre alla portata. La seconda si spalanca verso la totale incertezza. È un deserto, una foresta oscura, una buia calotta polare, in cui quasi certamente ti perderai. In una delle migliori ipotesi, troverai un tesoro di cui non avrai modo di avvantaggiarti, perché sarà riconosciuto tardi. Insomma, è una strada ingrata che pretende totale dedizione e disciplina, e pretende che l’acquisizione stessa di tale dedizione e disciplina sia la ricompensa dello sforzo e dei sacrifici compiuti.

La strada della carriera letteraria corrobora l’ego, coltiva la vanità. Anche la più dissimulata. La strada della creazione pretende il sacrificio dell’io e lo scorticamento continuo della vanità, ciclicamente riaffiorante, ancora più potente e assoluta dell’altra strada.

 

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