Il diario osceno di un presunto scrittore presuntuoso
Un diario si scrive all’insaputa del mondo. Ma oggi il mondo è in gran parte invertito e io lo sperimento talvolta fino a rendermi osceno. Mi ci impasto, fermento con lui. Così le mie note diaristiche diventano pubbliche in tempo reale, mentre ciò che scrivo come sprofondamento nella letteratura (poesie, romanzi…) e che dunque dovrebbe essere donato al mondo (il poeta che ungarettianamente torna alla luce dal porto sepolto e disperde i suoi canti) resta nel cassetto. E che restino pure lì, per ora, le mie operette, a decantare. Periodicamente, le metterò sotto esame, e solo dopo anni di verifiche proverò, semmai, a vedere se sapranno camminare autonomamente nel mondo (oppure non se ne salverà nessuna, chissà). Per il momento, evitiamo ulteriore inquinamento.
Un diario si scrive all’insaputa del mondo, dicevo. Fatto sta che l’ultima nota scritta, precocemente letta, risulta involontariamente stonata. C’era un pizzico di rivalsa, in quel che scrivevo? C’era lamentela, autoconsolazione?
Beh, diciamo che scrivere è agire, o reagire. Serve per disimpantanarsi, per diventare altro: Su, münchhausen. Magari si inizia con motivazioni sordide, ma si mira sempre alla purezza. Quindi, se qualcuno ha percepito del risentimento, può anche darsi che siano le tossine del viaggio rimaste nell’aria, il fango sulle suole, la polvere sul vestito.
Ma ho parlato della mia (non) carriera letteraria del tutto pacificato. Prendevo atto di quanto avvenuto, chiarendo che in quel percorso non c’era alcun merito. Tutto è avvenuto con naturalezza, in parte persino a mia insaputa. Chissà, forse non ho tentato una carriera letteraria per pavidità, ignavia, o semplice pigrizia. Ma non volevo assolutamente farmi bello per la mia storia. Non devo consolarmi di nulla. Se anzi persiste un pizzico di amarezza e di dolore non è per chi ha scelto la strada che io stesso avrei potuto (dovuto, con un po’ più di coraggio?) scegliere, ma per le regole del gioco apprese a suo tempo, e che non condivido.
E sia chiaro che non esistono due schieramenti contrapposti: i falsi e degradati che ottengono il successo e i puri e folli che restano nel sottosuolo pur di preservarsi. I primi, secondo quest’ottica ottusa, sarebbero tutti da condannare, e i secondi tutti da salvare. È la narrazione autoassolutoria e deresponsabilizzante inventata dai secondi contro i primi, flagrante patente manifesta.
Suvvia, siamo tutti concime per i fiori. Contano solo le opere. Delle nostre nevrosi, dei nostri avvitamenti mentali, dei nostri stessi slanci evolutivi che tanto ci fanno penare resterà traccia – e solo questa importa.
E la traccia potrà essere un’infilata di parole, stampata chissà dove o presente nell’etere in forma digitale, oppure, ancora meglio, un’eredità impalpabile eppure indelebile fatta di sguardi, gesti, testimonianza vera, compiuta nella quotidianità del lavoro, dell’essere semplicemente noi stessi.
Ciò che conta è sapere chi si è e quel che si deve fare, per scelta e/o per necessità, in quell’esatto momento della scena. E si parla di scena non perché ci sia esibizione, ma per esprimere lo sdoppiamento necessario (ah, le ragioni per scegliersi un altro nome…) affinché si possa agire e vedersi agire, se si vuole stare sulla soglia del senso, o almeno della sua possibilità.
Chiarito questo, nel mio (e non solo mio, ovviamente) confronto con i classici, anche lontano dal clamore del mondo, non c’è arrendevolezza. Anzi, c’è desiderio, combattimento, sfida. Ma l’amorosa battaglia si combatte su un terreno che può a tratti finire sotto i riflettori della mondanità letteraria solo per mero accidente. L’avvertimento è proprio questo. Chi osa scrivere stia attento a non farsi accecare momentaneamente dalle luci della ribalta: rischia lo schianto, la capriola ridicola.
Il quesito vero, per chi è consapevole della scena e dunque sa astrarsene, è questo: si scrive o si viene scritti?
Ciao Andrea. Se tu fossi naufrago su una piccola isola deserta, con un’altissima probabilità di restare da solo per il resto della tua vita, e postulando che tu fossi in grado di procurarti cibo e avessi un riparo relativamente sicuro nonché carta e penna a volontà, scriveresti le tue poesie?
Sì, certamente, giacché sono loro a scrivermi. Anzi, scriverei indubbiamente molto di più.