Mappa immaginaria della poesia italiana contemporanea
Succede che a un certo punto m’imbatto in una copertina e in un titolo: Mappa immaginaria della poesia italiana contemporanea. Una novità fresca fresca.
Succede che ho conosciuto e apprezzato decenni fa Laura Pugno, tanto da volerla a suo tempo nell’Opera comune.
Succede che, di conseguenza, mi viene voglia di ordinare il libro. E tuttavia, nel prendere informazioni, giusto per capire di che si tratta, mi imbatto in questa spiegazione.
Che dire? Mi sembra, semplicemente, l’analisi più cretina che abbia mai letto intorno alla poesia nella mia vita.
Ovviamente, il mio giudizio è doppiamente cretino, perché giudica senza aver letto tutto – ma alla mia età un po’ di presunzione è una forma di difesa necessaria rispetto ai ricatti impliciti (“Per giudicare, devi leggere tutto!”), per cui mi conforto pensando che un sarto non ha bisogno di accarezzare un abito intero per coglierne la qualità della stoffa.
La mia scarsa fantasia, doppiata solo dalla mia ignoranza cinematografica, mi ha fatto tornare in mente la scena del libro nell’Attimo fuggente. Banalità. Almeno, però, in quel caso si trattava di valutare un testo: qui addirittura si vuole mappare non una poesia, ma un autore, in relazione agli altri. Gli altri quali? Ah, già. Appena si parla di poesia contemporanea, comincia il gioco dei presenti e degli assenti. Se ho ben capito, da Agustoni a Zaffarano, sono compresi 99 poeti. Novantanove poeti contemporanei! Caspita, viviamo un’epoca poeticissima! Lo si scriva, per cortesia, nei manuali! Peccato solo per il centesimo: già che c’eravamo…
Ma non è sull’elenco dei poeti che vorrei soffermarmi, non è questo il punto. E il punto non è nemmeno la pretesa, o l’utopia, di una mappa che possa dare una forma alla poesia contemporanea: sogno audace che non va scoraggiato. Il punto è la serietà con cui si vuole impostare il discorso. Voglio dire, un po’ di cazzeggio intellettuale va bene, io stesso mi sono concesso, in anni serissimi, qualche divertimento classificatorio. Ma mi pare che questo libro si ponga come un tentativo assolutamente scientifico di ragionare su un oggetto non solo scelto a priori, ma al quale applicare criteri assurdi. Come si possono distinguere l’affettività dalla conoscenza, il mondo dall’io, l’assertività dalla sperimentazione, all’interno della performance poetica?
Ecco, per capirlo dovrei comprare il libro.
Ah, beata ignoranza…
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