La dissipazione dei talenti. Perché recensire non ha più senso e occorre fare memoria
Ragionavo l’altro giorno sulle logiche del successo, che spesso premia i meno talentuosi.
Ci sono sempre stati nella storia della letteratura due piani distinti: chiamiamoli successo editoriale e successo letterario. Talvolta, forse raramente, si intersecano. Di solito, il primo rischia di risultare effimero, mentre il secondo cresce nel tempo, perché pone l’opera all’interno di una tradizione: qui essa mette radici, nutre altre opere, si innerva in diverse epoche – con alterne fortune, ovviamente.
In Montale sopravvivono Pascoli e D’Annunzio, e soprattutto Leopardi, per dire.
Ogni generazione tagliando i traguardi del successo editoriale riconosce di aver perduto nel percorso svariati talenti che ai blocchi di partenza erano dati per favoriti. E’ un fatto naturale e in gran parte ineludibile. I talenti si perdono per ragioni esistenziali, biografiche, storiche, personali – e non soltanto per cause esterne. Talvolta, a valutare con il senno di poi, non si trattava nemmeno di talenti reali, ma solo di fuochi fatui, di sopravvalutazioni per errata prospettiva.
E tuttavia una volta si credeva nel tempo, che avrebbe, da galantuomo, rimesso un po’ di ordine. Temo che questa speranza oggi non abbia senso, come ho spiegato più volte, a causa di molteplici fattori:
- la quantità di opere prodotte dal mercato è esorbitante
- la qualità della critica letteraria in tutte le sue diramazioni possibili (giornalistiche, accademiche, specializzate…) è scarsa, e se anche qualche critico autorevole scendesse in campo, si torni al punto precedente
- il relativismo imperversante minaccia qualsiasi interpretazione: tutti sono abbastanza intelligenti per sabotare qualsiasi interpretazione
- la società di massa, in particolare attraverso i social network, travolge qualsiasi nicchia in cui si tenti un discorso autorevole sul canone
- la letteratura italiana non esiste più, assorbita in una ancora vaga tradizione occidentale (in osmosi con altri blocchi planetari: quello orientale, quello mediorientale e, si spera acquisti un profilo netto, quello africano). Celan o McCarthy danno linfa ai nostri poeti e narratori (con interessanti ripercussioni linguistiche, peraltro) più di Montale stesso o di Gadda.
Insomma, la tradizione muore, il successo letterario è una chimera. Un classico, dura un’estate.
Basti guardare i manuali di letteratura, fermi agli anni Sessanta. Non per nulla, nel 2022, la maturità ha chiamato in causa scrittori come Pascoli o Verga, con interpretazioni peraltro datate e superate di questi stessi autori. 2022: Pascoli o Verga!
Per chi si oppone a questa dissipazione, fosse anche inarrestabile, fare memoria è un dovere morale. Appena ci si imbatte in un autore e in un’opera di talento, più che recensirla e gettarla nel flusso contemporaneo, occorre ricordarla, rileggerla negli anni, riproporla perennemente, a discapito delle stagioni e delle mode.
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