Dire sottraendo al detto
E qui l’autore scompagina tutto, spariglia il gioco. Continuità o discontinuità? Progresso o ritrattazione? Maturazione o trasformazione? Secondo il nostro retaggio culturale, ci immaginiamo il procedere di un’opera da uno stadio giovanile a uno maturo e infine a uno tardo. Ma sono schemi che non hanno nulla a che vedere con la creazione artistica.
Ogni nuova poesia, ogni nuovo tassello narrativo, ogni acquisizione teorica comporta una revisione dell’intero sistema: come in un testo, fosse pure un romanzo, l’ultima parola modifica la prima, la orienta meglio. Certamente, passo dopo passo un autore è condizionato dai rapporti sociali, dal clima di un’epoca, dai temi dettati dagli eventi, dalle mere circostanze biografiche e quindi, per quanto sia consapevole di sé, inevitabilmente subirà spinte e controspinte che storicizzano in parte le sue parole. C’è chi cade rovinosamente e rivoluziona il proprio stile a ogni passaggio, ma c’è anche chi, funambolo di genio, pare mantenere controllato il passo, sempre nella stessa direzione, sempre fedele alla propria indole. Sono due lati di una stessa medaglia, però.
Dunque, ecco che adesso le pagine apparentemente note, fissate in una sequenza che seguiva logiche evidenti, si assestano secondo una planimetria sorprendente. Ci dimostrano insomma che esistono cunicoli, camminamenti, connessioni e rimandi interni che di volta in volta disegnano una diversa conformazione generale dell’opera, fissano una costellazione provvisoria in cui leggere un altro destino per ciò che era (apparentemente) noto. Di libro in libro, l’opera complessiva di un autore è un sistema tridimensionale, se non un albero con più diramazioni, una composizione di frattali, un labirinto di scale di Escher o chissà che altro – ma non una linea continua e ascendente. La contiguità cronologica è spesso un inganno. Non è vero che ogni libro comprende e supera il precedente. È vero che ogni libro ri-orienta i precedenti, lo riposiziona, gli conferisce una forma attuale. E tutto ciò senza nemmeno prendere in considerazioni le pur possibili fratture, gli incidenti, le svolte che non negano, semmai rafforzano, quanto già naturalmente avviene secondo le logiche che stiamo tentando di suggerire.
Come durante un’eclissi eccezionale o il passaggio raro di un corpo celeste, a noi è data ora la possibilità di osservare e scoprire riverberi di senso prima nascosti. È un’esperienza simile all’osservazione di uno stereogramma: fissi un punto nel vuoto, magari oltre la superficie percepita, e all’improvviso l’immagine si apre come una finestra e cogli l’altra dimensione, l’aldilà già presente nell’opera, ma in essa latente. Così, la sensazione di aver intuito ma non fissato un punto focale nel progresso di un autore, favorisce la lettura e il dischiudersi di orizzonti di significato impensati.
Ricordiamocelo: l’arte dice e nello stesso tempo non dice. L’arte è dire sottraendo al detto, a ciò che è fissato nella lettera e, per ciò stesso, morto.
Procedendo nella costruzione della propria opera, noi vediamo solo ciò che l’artista aggiunge, ma dovremmo concepire ciò che sta togliendo.
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