Nobiltà della prosa

Facile come bersi un bicchiere d’acqua.

Ci sono romanzi che scorrono nel gozzo e neanche te ne accorgi. Tolgono appena la sete quando c’è l’arsura, quando c’è bisogno di qualche storia e qualche personaggio che ammazzi la noia. Forse, a pensarci bene, la più parte sono così. Libri da spiaggia, libri per menti spiaggiate. E non è solo un modo di dire: sbircio sempre i titoli durante le passeggiate estive sul bagnasciuga e la genìa si riconosce. Quest’anno, speravo di scovare almeno una copia dell’antologia di Crocetti e Jovanotti. Io non l’ho nemmeno sfogliata, ma so per certo che ci sono versi, lì dentro, che da soli hanno un peso specifico superiore a vagonate di impeccabile, vendibilissima narrativa.
Eppure, io non credo affatto che tra poesia e prosa ci siano confini invalicabili o una qualità intrinseca differente, sebbene, solitamente, attraverso una e l’altra scorra un pensiero sulla spinta di una diversa tensione. Ci sono pagine di prosa che ti alzano la pressione fino alle vertigini. Ci sono poesie e poemi che ti cullano e ti abbandonano all’oblio.

Se l’azione esteriore è ormai estenuata
.  e la rima è fuori moda,
.  .  .  io tornerò a te,
.  Abacuc, come quando in una lezione sulla Bibbia
.  .  .  l’insegnante parlava del verso non rimato.
Egli diceva – e credo di ripetere le sue parole esatte –
.  .  .  “La poesia ebraica è prosa
.  con una sorta di consapevolezza superiore”. Estasi offre
.  .  .  l’occasione, convenienza determina la forma.

(Marianne Moore, Il passato è il presenteLe poesie, Milano, Adelphi, 1991)

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