Le virtù fondamentali di uno scrittore
Ai tempi dell’università, un compagno di collegio parimenti perso per la poesia (tanto che avrebbe apprezzato l’allitterazione), sosteneva che un grande scrittore si riconosceva dalla posa da fumatore. Forse voleva anche provocarmi, sapendo della mia indifferenza al fumo, ma desiderava anzitutto divagare intorno ai nostri scrittori prediletti, per cui, dopo un timido tentativo di spostare l’attenzione sull’alcol, mi adeguai al tema da lui prescelto. Del resto, era di un anno più vecchio e finché il nonnismo si limitava a queste piccolezze, non era il caso di lamentarsi.
Prese a mostrarmi le foto dei poeti che più ammirava. Sì, i più bravi erano stati immancabilmente ritratti con una sigaretta. Alla fine, spuntò il suo bisogno, tra serio e faceto, di essere ugualmente fotografato mentre delibava il suo sigaro. Può darsi che tutta la nostra discussione fosse soltanto un preambolo ben premeditato per raggiungere tale scopo.
Lo accontentai, e devo ammettere che la ricerca della posa giusta, con la fatica di cogliere uno spiraglio di naturalezza in quel gioco artificioso, occupò gradevolmente un’altra bella fetta della nostra serata post-studio. Mi promise, come incentivo, nei momenti in cui fingevo insofferenza, che un giorno avrebbe utilizzato quella stessa foto per il cofanetto del suo Meridiano. Ovviamente, per il tomo delle juvenilia, specificai io.
Anche il cazzeggio e la goliardia sono ingredienti preziosi di una vita.
Ma esistono veramente tratti caratteriali distintivi di uno scrittore? Penso che un sondaggio in merito porterebbe a una risposta positiva. La maggioranza concorderà sull’intelligenza e la sensibilità di uno scrittore, e ancor più di un poeta. (Ancor più? Ma certamente, la poesia richiede un surplus di sensibilità, non convenite?)
Eppure, a leggere con attenzione le biografie o le testimonianze intorno agli autori più affermati, dopo la patina delle presentazioni sintetiche dei repertori, verrebbe da pensare che siano soprattutto gli aspetti negativi a caratterizzare gli scrittori. Vanità, egocentrismo, supponenza, arroganza, astuzia, ambiguità, infingardaggine, opportunismo, gelosia, megalomania… Gli aneddoti biografici, anche dei grandi classici, sono disseminati più di vizi che di virtù. Chiedetelo alle mogli dei poeti [*], se i poeti sono veramente anime belle. Ah, il guazzabuglio del cuore umano! Com’è possibile che da un terreno così intossicato fioriscano miracolosamente opere piene di intelligenza e di sensibilità? È tutto un inganno? La letteratura è, in sé stessa, inautenticità, naturalezza contraffatta?
Non è il caso di ricadere nel giudizio opposto. Ammettiamo che l’opera eccede il suo autore. L’ombra dell’autore generata dall’opera non corrisponde alla realtà. E allora asteniamoci dal giudizio sulle persone, che ricade sempre in un moralismo sospetto, e atteniamoci ai testi.
Però, ecco, io penso che un autore sia mosso da due virtù contrapposte. Il segno di riconoscimento di un autore, secondo me, è la contraddizione originaria, che magari lui ha ricomposto nell’opera e nella vita cela con disinvoltura, ma che lo pungola immancabilmente verso il gesto creativo.
Di questi due aspetti alla radice della scrittura parlo nel video.
[*] Piccola postilla a scanso di equivoci. L’espressione potrebbe risultare un po’ maschilista, ma deriva da una mera constatazione storica. Saprei citare diverse mogli (anche eccelse scrittici!) che hanno dovuto sopportare mariti-scrittori tutt’altro che irreprensibili per il loro comportamento; non saprei invece citare il caso opposto, di mariti “vittime” di mogli-scrittrici. Ma si accettano suggerimenti…
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