Leggere è tutto, e non basta
Abbiamo esordito palesando tutta la nostra perplessità in merito alle scuole di scrittura creativa. Va da sé che ogni giudizio generale deve sottostare alla verifica particolare. Ci potrebbe essere, insomma, qualche corso davvero speciale e meritevole. Questa possibilità è il criterio di falsificabilità popperiano su cui la stessa affermazione generale fonda la propria sensatezza critica. Altrimenti, essa risulterebbe apodittica, pretenziosa, fanatica.
Saremmo i primi a iscriverci a un laboratorio tenuto da Alessandro Manzoni. Del resto, all’università frequentai effettivamente alcune lezioni di Luciano Erba giusto per vedere e sentire di persona “il poeta”.
In questi casi, può capitare anche di rimanere delusi, come rimasero delusi, a quanto pare, gli studenti di Pascoli, abituati ai modi e alla voce ben più autorevole di Carducci. Eppure, Pascoli fu un poeta di gran lunga superiore a Carducci – è un giudizio netto ma abbastanza condiviso, almeno nell’epoca attuale.
Dunque, un autore di capolavori riconosciuti potrebbe rivelarsi un mediocre insegnante o, all’inverso, uno scrittore mediocre potrebbe dimostrarsi un eccellente maestro. Tralasciando le infinite alchimie che rendono molto variegato il rapporto tra docente e discente (un insegnante inviso ai più potrebbe diventare il perfetto maestro per qualcuno, al limete uno soltanto, ma magari un futuro genio), ammettiamo che la fonte di ispirazione più che nell’uomo, ovvero l’autore, dovrebbe identificarsi nell’opera. L’arte si apprende dall’ammirazione e dallo studio delle opere, che trascendono la personalità dell’artefice. Del resto, la storia letteraria è piena di aneddoti su scrittori scorbutici, introversi, addirittura affetti da conclamata misantropia. Forse non avere conosciuto di persona Dante Alighieri è un bene, un vantaggio per la sua stessa opera. Chissà.
Ecco il giudizio tranchant di Mario Soldati (prendo in prestito la citazione da Gilberto Gavioli, sensibile al tema):
Insegnare a scrivere: ma che vuol dire? È la traduzione italiana del creative writing americano, ma è una cosa assolutamente sbagliata. E che vuoi imparare? È molto più importante leggere dieci, cento, mille libri, insomma tutta la letteratura, e se uno non impara così, vuol dire che è negato, scrittore non lo sarà mai.
Dunque, abbiamo scoperto il segreto dei segreti, che poi era lì sotto i nostri occhi: leggere! Non c’è altro vero modo per apprendere l’arte.
Eppure, le opere sono scrigni talvolta difficili da schiudere completamente. Sono congegni complessi, che si svelano a poco a poco. Addirittura, i grandi classici, si afferma, si rinnovano epoca dopo epoca. Senza tralasciare il fatto che, se ci limitassimo a imitarli, finiremmo per tradire il loro medesimo insegnamento. Ma passare dall’imitazione giovanile all’emulazione non è semplice. Poi occorrerebbe comunque, infine, scoprire la propria voce, il proprio stile.
Siamo daccapo: il maestro è un oracolo, ci parla per enigmi, pretende che impariamo da soli. Non è automatico che il più dotto sia anche l’autore più meritevole.
Ciò non significa, tuttavia, che sia giusto brandire la propria ignoranza come un merito, anche se di questi tempi, essere laureati e leggere un centinaio di libri all’anno pare davvero un esercizio vano, una perdita di tempo.
Piccola postilla maliziosa (da parte di uno che lavora nella scuola e ha un alto concetto dell’insegnamento)
Abbiamo ammesso, in linea teorica, la possibilità di corsi di scrittura meritevoli. Ma sulla base di quali criteri potremmo additarne l’eccellenza? Con una verifica finale, basata su parametri standard? Attribuendo punteggi a seconda del piazzamento editoriale dei suoi allievi? Chiedendo una valutazione all’utenza? Contando i premi esposti in bacheca? Sic transit gloria mundi…
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