Corpo, fiato, scrittura

Il pensiero, in tutte le culture antiche, si associa al movimento. Per i medievali, camminare era il modo per sbloccare i pensieri. Nella cultura ebraica, per ragionare occorre discutere ad alta voce e muoversi. (Quand’è che ripenseremo i nostri ambienti di apprendimento? A scuola invece di favorire il movimento, ingabbiamo gli studenti, li vogliamo bloccati, statici, incantati…)

Da sempre poi lo stile, il procedere del verso in particolare, ma anche della prosa, sono appunto paragonati a un andamento specifico, a un passo. 

Si tratta, ovviamente, di un passo che sembra naturale, ma che è frutto di esercizio e disciplina. Per camminare bene, occorre rimettere in discussione il gesto che abbiamo sempre compiuto in modo inconsapevole. Dobbiamo rivedere la postura. Dobbiamo armonizzare pensiero e gesto, perché l’uno sia indistinguibile dall’altro, fino alla conquista di una naturalezza di secondo grado. E, quando cultura e natura si compenetrano, il gesto si fa bello, luminoso di senso. Allo stesso modo, se vogliamo accedere agli stati più profondi della meditazione, dobbiamo re-imparare a respirare – malgrado siano molti i poeti che non accettano di esercitarsi su una metrica e un ritmo e rivendichino la perfetta corrispondenza tra le scansioni del testo e la loro prima, spontanea pronuncia.

Dunque, tutti gli scrittori sono buoni camminatori? No, naturalmente. Se per leggere occorreva, un tempo, il perimetro di un chiostro, in modo da camminare insieme al testo e pronunciarlo, possibilmente ad alta voce, nell’epoca moderna ci siamo abituati a una lettura mentale e astratta, che procede mentre si sta rigorosamente fermi. Gli intellettuali si sono trasformati in atleti da scrivania, che viaggiano solo con il pensiero.

Ma il legame tra movimento e pensiero, tra respirazione e scrittura, tra corpo e testo tende a riemergere in mille modi. Non sono pochi gli scrittori che se ne sono occupati. Del resto lo sport occupa buona parte delle nostre vite, e non solo come tema, come forma di intrattenimento di massa, ma sempre più come pratica personale. Basti, per restare in Italia, all’esempio di Mauro Covacich, scrittore e podista, autore di libri come A perdifiato (2005) o Sulla corsa (2021) – ma a chi è appassionato dell’argomento consiglio il libro di Claudio Bagnasco: Runningsofia. Filosofia della corsa, a cui si può aggiungere l’ascolto del suo podcast.

Ricordiamoci allora di lavorare sul corpo proprio come dobbiamo lavorare sulla pagina. Ciascuno è libero di scegliere l’esercizio più congeniale. Se non troverete alcun legame diretto tra le due pratiche, non importa: un po’ di esercizio vi avrà comunque fatto bene, avrà affinato i vostri sensi e liberato persino il vostro pensiero da qualche tossina di troppo. Noi pensiamo anche attraverso il nostro corpo: curiamo dunque pure questo strumento di lavoro, per respirare meglio, per ispirarci meglio.

Non riduciamoci a un rapporto intellettualistico con la vita.

Nutriamo il nostro pensiero di tutto ciò che lo circonda e attraversa e che resta, malgrado il nostro sguardo indagatore, misterioso.

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