Di paternità putative
L’unica paternità che sembra contare, oggi, è quella putativa. Anzi, quella sputativa. Il tale è un protetto di… Il talaltro è raccomandato da… Il più delle volte, si tratta di pettegolezzi, più precisamente di maldicenze, che magari partono da un fatto minimo, un aneddoto, e lo eleggono a prova di chissà quali rapporti, in modo da alludere e screditare, sempre evitando di entrare nel merito, di stare ai fatti.
Qualche volta, ricevere un gesto di attenzione (una dichiarazione pubblica di stima, una segnalazione, una noticella benevola, non sia mai addirittura una recensione positiva) da parte di qualche scrittore in età sufficientemente veneranda per essere considerato un padre, diventa una disgrazia. Ne so qualcosa. A un certo punto qualcuno mi disse in faccia che lo sapevano tutti, che ero uno raccomandato da Raboni. Ci misi diversi minuti prima di elaborare un’affermazione che mi sembrava incredibile. Scoppiai in una sonora risata, pensando poi all’unica volta nella vita in cui incrociai Raboni, durante un convegno universitario. Quel giorno lo avvicinai per chiedergli un eventuale indirizzo, nel caso in cui avesse gradito ricevere la rivista che avevo da poco fondato. Le uniche parole che mi rivolse furono quelle. Due parole: “Via Melzo”. Tre, se ci aggiungiamo il numero civico. Nient’altro, mai più visto (se non a distanza, in qualche altro evento letterario), mai più parlato con lui. Ma quel giorno è davvero un aneddoto grazioso da raccontare, per tutt’altri motivi: mi tengo il racconto, però, per qualche occasione più plebea, magari una divertita chiacchiera da bar.
A pensare fino in fondo, però, il dramma è che, anche qualora la paternità intellettuale fosse dimostrata, si presume di aver per ciò stesso ridimensionato l’interlocutore. Si congettura automaticamente, insomma, un atteggiamento mafioso. “Quello è uno stimato da Raboni”: e invece di ipotizzare qualche merito, ci si immaginano intrallazzi di qualsiasi natura. Le colpe dei padri, ritenuti intoccabili dai figli incapaci di crescere, vanno fatte ricadere su altri, insomma. Ecco, gli Italiani.
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