Narrativa contemporanea: Cristina Venneri
Alla pesantezza dei fatti Cristina Venneri preferisce la levità dello stile, che trasfigura e alleggerisce (esorcizza, a tratti rende ironici) anche i dati drammatici della storia.
Venneri si presenta quindi come una scrittrice di forma, attraverso la quale esorcizza la materia rielaborata, con un taglio ironico che però adotta sapienti contrappesi (sotto forma di apparenti violazioni del registro dominante) per non risultare svaporante.
E la scrittura di Corpomatto ha un modello non solo evidente, ma dichiarato: Giuseppe Berto è l’autore di quel Male oscuro che fa più volte capolino nel testo, ed è maestro del periodo lungo, anzi lunghissimo, estenuato oltre misura, con cui trasporta il lettore in un flusso apparentemente ondivago di pensieri che si fa ossessivo e ipnotico. Venneri però tempera gli eccessi del modello, sia ricorrendo anche a periodi brevi o a sequenze dialogiche per facilitare la lettura, sia evitando il periodare lutulento, con forzature ipotattiche estreme e ricorso a connettivi ricercati, per giungere a una dizione più cristallina, con periodi più naturali e possibilmente senza virgole, ma misurati rispetto al fiato, per così dire, del lettore.
La vicenda, alla fine, rivela una struttura spiccatamente allegorica. La protagonista, Marta, attraversa lo stretto di Messina come l’ideale canale di un parto che dovrebbe renderla autonoma, rispetto a una famiglia disgregata (il padre professore, romantico e prevaricatore, è separato dalla madre alcolizzata). Il fallimento negli studi è costellato da invaghimenti per uomini che recano le stimmate di una proiezione paterna (sono anch’essi insegnanti). Il principale di questi amori la inviterà a raggiungerlo al Nord, ma l’inettitudine di Marta rovescia la vicenda: anziché formarsi, la protagonista ritorna a Taranto, favorisce la ricomposizione della famiglia, pur in spazi sempre più ristretti e faticosi, fino alla perdita dell’identità, nelle ultime, potenti e visionarie pagine del libro. Il padre romantico (spesso reciterà il ruolo di amante in alcuni incontri con la figlia, in una sorta di gioco involontariamente sintomatico) e prevaricatore non sarà sostituito da altra figura, la madre sembrerà persino ringiovanire: l’idillio della famiglia ricostituita diviene la tragedia di una famiglia fagocitante.
Il rischio, per l’autrice, mi sembra quello di non uscire dall’ombra del modello letterario: in tal caso l’allegoria narrata si rivelerebbe tragicamente esatta nel proporre il ritratto di una generazione incapace di nascere. Ma l’esordio, nelle sue problematicità, è promettente.
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