Sommersi e salvati

Sommersi e salvati in poesia. Alcune segnalazioni

Ogni tanto, quando ripenso a certi miei giudizi drastici rispetto ai poeti maggiori, mi chiedo se ne è poi valsa la pena e, soprattutto, da dove nascesse quel mio vivere in modo così combattivo la poesia contemporanea. Ora, alla prima domanda non è facile rispondere: aver dato fastidio a qualcuno, mi si ritorce contro ancora adesso, ma il prezzo di quella libertà e forza di giudizio è ciò che mi ha permesso di restare libero e perseguire le mie scelte stilistiche. Anche se ai Festival invitano altri. Va bene così.

Alla seconda domanda invece è più semplice rispondere: mi muoveva quel senso di mistificazione dei valori che riscontravo, e che continuo a riscontrare oggi. Discorso noto e fastidioso: in certe collane di poesia di prestigio (io stesso sono passato per Einaudi, quindi potrei essere citato in giudizio) escono libri insipidi, insensati, che dimostrano un’assenza, spesso voluta, di progettualità poetica. Non c’è una linea, un’idea letteraria a muovere le scelte editoriali in poesia. Ma ci fosse almeno un discorso di valore! Invece, restano sommersi chissà quanti autori meritevoli. Così, all’epoca mi misi al lavoro sulla generazione “perduta” di chi mi precedeva (oggi qualcuno è emerso, magari diventando anche persona di potere) e ne nacque Poeti nel limbo – non un’antologia, ma uno studio accurato su più di cinquanta poeti.
Chiariamo una cosa. Non credo nella realizzazione della giustizia su questa terra. Non credo che si potrà mai arrivare a un sistema ordinato e giusto in cui le collane più prestigiose pubblicano i migliori e alle più piccole si riservi un lavoro di ricerca e di sperimentazione, magari per scovare i nuovi talenti. Ci mancherebbe. Né si sostiene implicitamente che i migliori poeti non siano riconosciuti, o che tutti i sommersi siano meritevoli di riscatto. I valori, poi, cambiano nel tempo. Ma credo nella continua lotta, nell’umano tentativo di aggiustare l’aggiustabile, di accorgersi quando, meno visibile di altri, emerge una voce poetica che ha la sua innegabile autenticità. E se vale più di tanti altri che stanno sul palco, vale la pena dirlo. Senza astio con nessuno, senza pretesa di buttare giù il palco (e edificarne un altro, riattivando la stessa dinamica: storia già vista). Lo si deve fare per mero spirito di cittadinanza.
Questi vecchi, sempre vivi pensieri che mi accompagnano, mi si ripropongono alla lettura di Maritmie, di Giovanni Laera (pubblicato nella collana diretta da Antonio Bux per Marco Saya editore): una sorpresa, per la bellezza della maggior parte dei testi e per l’impianto complessivo della raccolta. Se fossi un critico, dovrei fermarmi qui (ovvero, dovrei descrivere accuratamente l’opera per rendere conto del giudizio). Come poeta, invece, mi si attivano tutte quelle tensioni (positive) che nascono dal confronto con un altro poeta, e allora dovrei parlare di una misura che ancora non è stata sfondata, di un radicamento positivo nella tradizione che però deve ancora trovare pienamente la sua strada, tra Penna e Caproni. Ma questo è un discorso troppo ampio, un confronto tra visioni poetiche. E richiede tempo, letture, riflessioni (sarebbe bello anche: incontri di persona, officine condivise, ecc. ecc.). Intanto, per quel che può servire (non dirigo festival, non ho più un lavoro critico in corso…), io lo dico: Maritmie, edito da Marco Saya, è un bel libro di poesia.
Ne ricopio una, che mi sta a cuore (ognuno ha i suoi punti deboli) per quel richiamo a Marte (chi ha letto le mie cose, sa perché):

Se arde il tuo cellulare come un sole
che trapunge la spina del sale
e un’acqua viva ti spalanca i palmi
stimma che non ci lascia respirare
se i giga danzano una giga alterna
di spunte azzurre e incrina come le ossa
il mare – è Marte, amore, e non è morte
ma una cipolla rossa da sfogliare


Un altro libro edito da Marco Saya da segnalare è Cosmologie di Luca Vaglio, uscito nel 2022. Al di là delle spiegazioni fornite dall’autore nella nota conclusiva, con qualche rimando esoterico, la raccolta testimonia una voce consapevole che si affida a strategie ben definite. La poesia di Vaglio comincia a livello della prosa, molto spesso la sensazione, anzi, non è quella di un volo radente, ma di una prosa vera e propria, complice la sintassi fluida, ragionativa o descrittiva. Ma l’occhio, prima di leggere, è già stato colpito dalla forma della poesia: più che a livello metrico, il testo è iconicamente compatto, sia che si tratti di versi lunghi o brevi, e distribuito talvolta in strofe. Poi, leggendo, la prosa procede per accumuli, si fa sottilmente ossessiva, e il testo lievita. Spesso le poesie prolungano un unico periodo, internamente pausato e sempre scorrevole, ma con sottili aggiunte percettive, deviazioni, scarti riflessivi. Altre volte, l’impennata conclusiva, che lascia il lettore sospeso in uno stato di stupore riflessivo, è demandata a un secondo periodo, più breve. Non è detto, però, che il finale sia per forza in crescendo: talvolta la movenza conclusiva sembra prediligere il rientro, il ripiegarsi verso la prosa, come di un’onda che vuole nascondere e, a suo modo, ugualmente attrarre. Il dato di partenza sembra nascere da un’occasione esistenziale, da una scena, ma molto spesso è addirittura astratto e filosofico, definendo, specie nella seconda parte della raccolta, un procedere spiccatamente ragionativo (le citazioni letterarie e soprattutto filosofiche sono esplicite e numerose), che si espone a moti di arguzia e di ironia, ma sempre dolce, senza le asprezze, il sarcasmo, le acidità novecentesche – senza risentimento, insomma.
Non sempre, nell’insieme della raccolta, le poesie riescono a riprodurre questi movimenti: talvolta la modularità toglie ogni sorpresa e le scene o i rimandi meno brillanti compongono un testo che resta un po’ piatto, come se l’amalgama imperfetta o il dosaggio non permettessero la lievitazione. Infine, resterebbe da valutare dove conduce quella sospensione riflessiva delle migliori poesie, capire se contemplano il vuoto, restano sospese sul nulla, oppure sono rivolte a un profilo del reale che vorrebbe emergere: ma questa valutazione si potrà compiere solo negli anni, seguendo il percorso del poeta e lasciando sedimentare i suoi testi. E tuttavia basta questa raccolta per ribadire che, pescando bene nell’editoria minore, ci sono voci assolutamente meritevoli, che potrebbero tranquillamente affiancare quelle maggiormente riconosciute.
Ma sarebbe un lavoro immenso, una vera e propria battaglia d’amore da portare avanti, in gran parte utopica e controproducente, perché comporterebbe tensioni ed equivoci, malumori e sospetti, persino evidenti ritorsioni. Vecchio discorso, su cui non ritorno. Semmai, ecco un testo esemplificato di quanto detto a proposito della poesia di Luca Vaglio:

Una bambina, forse quattrenne, gioca
a immaginare storie attorno a un tavolo
dell’Hemingway Cafè di Milano nord-est,
dove la sua mamma e un’amica, quarantenni
che paiono felici e in pace, bevono una birra
e si scambiano confidenze sull’amore,
sul lavoro e sui diversi casi del presente,
la bimba è vivace, veloce, dice le sue parole
e sembra un’undicenne geniale in un corpo
piccolo, agile, leggero: chissà se crescendo
avrà ancora questa luce, se sarà una scrittrice,
un’inventrice di cose nuove o se invece
qualcosa oppure qualcuno le farà pensare
che conviene diventare come gli altri,
che è meglio essere normale:

la mamma e l’amica la lasciano fare,
senza dire no, senza nessun rimprovero,
ascoltano le sue intelligenze, le parlano
e sorridono. Soltanto quando la bimba
dice che vuole andare via, la mamma
risponde che non le piace la parola subito.


Matteo Persico con le poesie di Warbling (Puntoacapo 2022) aggredisce con sarcasmo la vita contemporanea nelle sue più evidenti aberrazioni e sceglie in particolare la chiave economica per scardinare l’ipocrisia dei congegni sociali entro cui ci siamo rassegnati:

che a ventisei, discutere di previdenza
complementare e fondi di pensione
ci sembra la morte stia già lì, rapace
dietro l’angolo, pronta a rapirci. o magari
è l’ombra dell’illimitato possibile
che sopravvaluta il ciclo della vita, un retaggio
degli studi umanistici: non ama fermarsi
alle polverose logiche di risparmio. invece,
dovrei sbloccarmi rispetto ai valori aggiunti
e smettere di ancorarmi al non-si-addice;
che davanti ad un Caffè Mauro – assunto
alle spalle di un’alba usa e getta – di cosa
dovrei mai parlare? calcio e pensione:
cardo e decumano, in logiche ferree.

Ne risulta dunque una raccolta compatta a livello tematico e originale nel taglio, ma che nella sua decisa scelta di campo rischia di sembrare un lungo, benché intelligente sfogo. E’ un atto di ribellione che va indubbiamente condiviso, tuttavia, per quel che riguarda le mie preferenze letterarie, non è il piglio civile a disturbarmi (benché sempre difficile da gestire) quanto l’ironia e il sarcasmo, che sono un’eredità novecentesca che fatico ad assecondare. Preferisco il comico, semmai. L’ironia, come avevo spiegato altrove, si limita a distruggere, ma presuppone un punto di vista superiore che non si mette in gioco. Fare bella figura all’opposizione è sempre piuttosto facile: indicare e curare il bene che c’è, o costruire alternative, è la vera impresa. Ma è anche vero che prima occorre distruggere, per costruire, quindi, si attende il passo successivo con curiosità.


Anche la poesia di Alessia Bettin, nella raccolta Appese a un chiodo ma vive (sempre per Puntoacapo) abbraccia immagini di decadenza relative al nostro mondo, ma il filtro è spesso meno diretto, magari onirico (“Ti dirò che ho sognato / container di sneaker affondare nell’oceano / container in viaggio dalla Cina / sprofondare / insieme all’ipocondria, i titoli di coda, gli schermi precisi / la gente che ride che ride”), ma tra auto di lusso che rischiano di investire pachistani, odore di metropolitana, pacchi di assorbenti e algoritmi vari, si rintracciando filamenti di una storia personale, il senso di una tragedia non gridata, attraversata con dolorosa leggerezza:

Questo mio cuore instagrammabile
si è fermato a ventiquattro anni
te lo rendo
da ogni parte sfarfalla sbatte
sull’amore interpella gli arcangeli delle Baleari
sa ancora essere indulgente con il mondo
sta nel moto ondoso
taglia il sole a strisce col pettine giallo
nella luce nuota nel chiarore
la sua coda di sirena
entra ed esce dagli amori
io te lo rendo ma attento
a grandi tragedie ed entusiasmi è avvezzo
recidivo agli errori
talora insonne
piange.

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