Bansky

La poesia civile e il popolo dei bambini

Sono giorni d’inferno. È ancora tempo di guerra. È sempre tempo di guerra. C’è un Novecento che ci perseguita: il secolo breve è diventato il secolo infinito.

In una simile cornice, oggi dovrò leggere delle poesie, a Vercelli, nell’ambito del Festival Internazionale di Poesia Civile. Mi pare una situazione surreale.

Il mio impegno non è legato alla poesia. Se la mia poesia può dirsi, a tratti, civile, ciò accade a mia insaputa. Insegno: lavoro quotidianamente per costruire, mattoncino su mattoncino, una società migliore.

Questi frammenti di pensieri, che non trovano la forza di legarsi, di svolgersi, mi invitano a scegliere, tra le altre una poesia in particolare: Ballata del mese di maggio.

Maggio è il mese delle rose. Rosa era il nome di mia madre, che entrò in un suo personale inferno (“rosa disfatta in bicchiere di vino” è il verso che chiude la poesia Nel nome della madre) quando morì, a pochi giorni dalla nascita, il secondogenito. Nella mia poesia, l’angelo è lui, il fratellino che non ho avuto – ed è un angelo non per sguardo poetico: la poesia verrà molto più tardi; è il mio angelo custode perché così mi aveva assicurato mia madre.  Assumo, come poeta, il nome di questo mio fratello, e il cognome di mia madre, per farmi carico della mia origine, per diventare responsabile della mia nascita.

La rosa è un simbolo troppo poetico: oscenamente poetico. E antico. Viene in mente anche la chiusura del romanzo Il nome della rosa: Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus.

Pristina rosa. Ma Pristina è anche la capitale del Kosovo e la poesia risale infatti al 1999. Le notizie tragiche del conflitto, in particolare un’esplosione che comportò la morte di decine di bambini, mi raggiunse mentre, all’epoca, svolgevo proprio il mio servizio civile e, a scuola (la stessa che poi mi accoglierà come insegnante) ero impegnato come educatore. Il cortile era il mio campo di battaglia, il luogo di un conflitto intimo che si cuciva con la storia.

Ho solo questa dolorosa cucitura, questa testimonianza, per non sentirmi ipocrita, oggi, a leggere versi che si vorrebbero “civili”.

BALLATA DEL MESE DI MAGGIO

Pristina rosa, rosa dolorosa,
stelo ubriaco e vulva spappolata,
dei figli che tu spandi
ne farò marmellata.

Così i bambini saltano più in alto,
festeggiano il millennio
con giochi pirotecnici. Papà
scende sempre in giardino
e la matrigna nutre le sue piante:
la natura matura tutti i semi
col concime più nutriente. Ventre
sempre benedetto, mentre la puerpera
che sperpera i suoi doni
non verrà perdonata.
Rosa violentata. Sogno la bocca
della mia sposa e spengo la TV.
I bambini dal cielo
non scenderanno più.

Pristina rosa, rosa dolorosa
stelo ubriaco e vulva spappolata,
dei figli che tu spandi
ne farò marmellata.

Ma il debito alla patria non è mai
saldato e dal mio piccolo
popolo, Ivo mi ha lasciato in pegno
le giovani marmotte.
Per ciò di notte leggo. E se la grandine
si allontana domani farà bello,
si gioca a calcio ancora tutti insieme.
Tia a perdere non ci sta più, ma Luca
corre più forte e Cisco
sulla fascia non tiene.
E se invece l’alba viene bagnata:
fuoco! e l’angelo custode è già qui.
Sognerò mio fratello
e un nome da pirata.

Angelo bello, angelo fratello,
truccati presto, andiamo in Albania.
Si va a rapir bambini,
si salta in compagnia.

(da L’amore e tutto il resto, Interlinea, 2023)

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