Narrativa contemporanea: Alberto Casadei
Alberto Casadei è noto anzitutto come studioso, ma è anche poeta e, ora, narratore, grazie al romanzo La suprema inchiesta (Il Saggiatore, 2023).
La sua produzione critica è notevole e varia: spazia da ambiti prettamente letterari (ricordo, guardando sui miei scaffali: La critica letteraria del Novecento, 2001; Storia della letteratura italiana: il Novecento, 2005; Stile e tradizione nel romanzo italiano contemporaneo, 2007; Dante oltre la Commedia, 2013) a connessioni fra il campo letterario e altri saperi (Poesia e ispirazione, 2009; Poetiche della creatività. Letteratura e scienze della mente, 2011; Biologia della letteratura. Corpo, stile, storia, 2018; Dante. Storia avventurosa della Divina commedia dalla selva oscura alla realtà aumentata, 2020). Questa panoramica non è un semplice biglietto da visita, ma racchiude già indizi rispetto alla poetica dell’autore, che vedremo poi messa in atto nel romanzo oggetto del nostro discorso. Ricordiamo anche i libri di poesia I flussi vitali, 2005; Genetica, 2008; Le sostanze, 2011. Anche in questo caso, i titoli sono sintomatici. Tra l’altro, a dispetto delle collocazioni editoriali, legate spesso, come sappiamo, a circostanze di varia natura, la produzione poetica non è affatto subordinata alla riflessione teorica. Anzi, c’è chi non ha esitato a vedere in Sostanze «un libro straordinario», comprensivo di testi addirittura «fondativi» (si legge su questo numero della rivista “Atelier”). Sospendendo pure il giudizio apodittico, riprendiamo tuttavia l’analisi di Michele Ortore, che offriva argomentazioni appropriate:
«la svolta […] non sta in qualche innovazione formale, bensì in un vero e proprio scatto conoscitivo che sulla forma finisce soltanto per riflettersi. Scienze cognitive, fisica, cosmologia, biologia, tradizione letteraria: sono soltanto le discipline-architrave di una cattedrale del sapere che nella poesia di Casadei assume un’inedita struttura. […] Finalmente la poesia italiana partorisce un testo capace di dare esistenza e dignità letteraria al concetto (per quanto sia riduttivo definirlo tale) di rete […]. La rete di Casadei […] è la capacità di usare la poesia per ricreare i legami fra i campi cognitivi e riscoprire i fili che uniscono tutti gli elementi dell’esistente. Ed ecco perché è difficile descrivere Le sostanze partendo dallo stile: perché della rete non è tanto importante il materiale costituente, quanto le aree messe in collegamento, nell’apertura di ogni punto all’altro da sé e nella creazione di un sistema nuovo e più potente. […] Si tratta di riscoprire il pre-razionale, dunque, ma non più in chiave mitico-romantica, né vetustamente freudiana, bensì biologico-cognitiva. La poesia come accesso a una realtà a suo modo ordinata, seppur non riconducibile agli schemi della logica tradizionale.»
Se una simile poetica trovava nei versi un’applicazione per certi aspetti agevole e, diremmo, naturale, il romanzo rappresenta ora il banco di prova più importante, dal momento che le strutture della narrazione obbligano a uno sforzo di coerenza, di tenuta e di persuasione maggiore.
Casadei ha individuato nel poliziesco il genere più adatto ai suoi fini. Si tratta del genere che prevede una rigidità di trama quasi assoluta e l’intenzione è esattamente di sfruttarla in un’ottica paradossale.
Già da tempo, inglobando al centro del campo letterario il giallo, e quindi riconoscendone piena dignità artistica, molti autori hanno tentato di mostrarne la valenza conoscitiva: a un certo punto, anzi, è parso che questo fosse il genere ideale per raccontare la nostra società e il nostro rapporto con un mondo sempre più complesso, dominato da logiche persuasive tanto potenti da suscitare interpretazioni cospirative in ogni ambito della vita.
In effetti, La suprema inchiesta presenta subito pagine sovraccariche, con giochi di parole e di battute, con dialoghi ricchi di riferimenti alla cronaca o excursus sull’inquietante percorso intrapreso dal nostro Paese negli anni dello sviluppo postbellico. Pare esserci fin troppa realtà e, insieme, replicazione degli stereotipi e delle strutture di genere: l’eccesso informativo che accompagna l’ingresso dei personaggi, i loro stessi nomi improbabili e ironici (incontreremo anche un Vanni Bucci che richiama il Vanni Fucci dantesco), ma soprattutto la cospicua presenza di citazioni letterarie fanno venire in mente certi romanzi di Giuseppe Genna. E forse il paragone è sintomatico se riconduce alla volontà di sfondamento del genere, nel tentativo di comporre una sorta di ultraromanzo capace di rappresentare, ahinoi senza troppa fantasia, il cupo ventennio berlusconiano a cui la trama rimanda esplicitamente (del resto, già il titolo stigmatizza l’atmosfera di un’epoca).
Se il lettore meno avvertito risulterà attratto da queste spie evidenti, il lettore più esperto, smascherato il gioco, sarà invece coinvolto dalla sfida che, via via, si esplicita: la narrazione sarà in grado di tenere insieme e condurre a termine le molteplici direzioni attivate dai vari personaggi? La famiglia al centro della scena irradia la trama su varie piste: Livia Bianchi è l’intraprendente vicequestore incaricato di risolvere il caso dell’uccisione di una escort di alto bordo; il marito Angelo Consani è un inetto che sogna la costruzione di una città ideale in cui vivere una vita felice e in armonia con la natura; il figlio Lorenzo è un adolescente immerso nel disagio giovanile che tenta un riscatto nella direzione di un confuso quanto meritevole impegno per le sorti globali del pianeta; la figlia Giovanna è persa nei vortici di una precoce sensibilità che rischia di estraniarla dal mondo circostante. Ma, ad alzare ulteriormente la posta, la storia si apre a tutte le storie, con improvvisi e apparentemente irrelati rimandi a vicende lontane, persino ancestrali. A questo punto, l’inchiesta diventa davvero suprema: bruciando le strutture del genere, mentre crollano le impalcature narrative, l’oggetto stesso del racconto diventa altro. Il romanzo si fa surreale o metafisico, se ancora hanno senso tali distinzioni oltre la soglia oltrepassata dall’opera stessa. Ma, ed è questo il punto veramente interessante, una simile trasformazione letteraria non si compie per furia da iconoclasta, per euforia distruttiva avanguardista, e nemmeno per la suggestione di vaghe filosofie orientaleggianti o fumosi misticismi. L’affresco grottesco di un’epoca e il metodico sabotaggio del genere compiuto attraverso una scrittura che attraversa più registri linguistici e che non teme passaggi sperimentali di primo acchito incongrui, si muta in una narrazione disponibile a una visione del reale secondo paradigmi di fisica quantistica o concezioni del tempo non lineari. Non si tratta più di curvature fantascientifiche, ma di concrete prospettive con cui l’umanità deve confrontarsi. Se la nostra eredità psichica e biologica ci riconnette a una trama infinita, anche la letteratura può registrare e narrare, appunto, questa dimensione.
C’è dunque una logica nel caos? In perfetto equilibrio tra un pessimismo leopardiano e un ottimismo dantesco, con ariostesca fantasia Casadei vuole consegnarci, anche attraverso la suggestione di molte immagini che accompagnano il libro (una sorta di apertura alla rete in cui siamo immersi), una più complessa percezione del reale, e lo fa attraverso un congegno letterario nuovo. Il rischio che tale congegno non sia compreso non solo è previsto, ma è persino introiettato nella narrazione. Arrivare, completata la lettura, a percepire come ingiudicabile un’opera da un punto di vista meramente letterario, alla luce di una diversa idea di compiutezza e di bellezza proposta, ovvero a un diverso grado di veridicità (pur di secondo grado, dentro a una cornice di finzioni necessarie), pare per una volta il segno non tanto di una resa da parte del lettore (più o meno esperto), quanto il migliore indizio di riuscita da parte dell’impresa tentata. Ottimo punto di partenza per ulteriori indagini, verrebbe da dire.
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