La rivista Atelier

Cento volte Atelier: evviva!

I numeri vanno sempre interpretati, come si sa. Ma comunque li si guardi, certi numeri rappresentano un traguardo sorprendente, come i cento numeri di una rivista dedicata alla poesia in particolare, e alla letteratura contemporanea in generale.

Il Novecento è stato il secolo delle riviste. Molte di esse hanno addirittura scandito le stagioni letterarie, formato generazioni di scrittori, alimentato internamente la cultura – ma anche portato dall’estero linfe vitali, creato traiettorie in verticale fra generazioni differenti, dato visibilità a voci sommerse. Alcune, pur folgoranti, si sono spente dopo pochi numeri. Altre, nella continuità garantita dal prestigio raggiunto e dal radicamento nei poteri editoriali, sono sopravvissute più volte a loro stesse. Imbalsamate, magari, come ancora ne vediamo. Continua a leggere

Per Simone, ancora (qualche parola e qualche foto)

Giovanni Succi, che, come ho raccontato, dedica il podcast di questo mese a Simone Cattaneo, mi ha posto qualche domanda e ne è venuta fuori una breve intervista per inquadrare la figura e la poesia di Simone. Potete leggerla per esteso qui.

Tra le altre questioni, si è detto delle poche immagini di Simone, e mi è venuta voglia di sfogliare qualche vecchia cartella. A lavorarci con calma, chiedendo anche ad altri di raccogliere materiali simili e confrontare le informazioni, ne verrebbe fuori un bel racconto – di Simone ma anche di quello che è stato il gruppo di Atelier.

La prima fotografia che vorrei segnalare è relativa al 17 giugno 2006, quando alla Villa Marazza di Borgomanero festeggiammo il decennale della rivista. Come in una formazione calcistica, ecco il gruppo dei presenti nell’occasione: in piedi, da sinistra: Cesare Viviani, Tiziana Cera Rosco, Massimo Gezzi, Giuliano Ladolfi, Simone Cattaneo, Federico Italiano. Accosciati: Andrea Temporelli, Alessandro Rivali, Giovanni Tuzet, Davide Brullo. Continua a leggere

catalogo

Antologie dell’ultimo Novecento (di Valentino Fossati)

Ieri mi è capitato a scuola, durante una lezione facoltativa pomeridiana, in cui tentavo di fornire agli studenti una visione d’insieme del Novecento letterario, di far riferimento alle molte antologie che attraversano e modellano il secolo. Quasi ogni decennio è stato segnato da importanti riflessioni che hanno condotto alla compilazione di repertori: pensiamo per esempio a Poeti d’oggi di Papini e Pancrazi (1920), a Scrittori nuovi di Falqui e Vittorini (1930), Lirica del Novecento di Anceschi e Antonielli (1953), a Poesia del Novecento di Sanguineti (1969) e ai Poeti italiani del Novecento di Mengaldo (1978). Continua a leggere

Pro o contro la tradizione? (di Martino Baldi)

Riprendo volentieri questo intervento di Martino Baldi, su un tema che mi è caro. Ho sempre ragionato in termini di “tradizione interrotta”, perché a un certo punto il passaggio generazionale (comunque lo si voglia definire e intendere) è venuto meno, come ho registrato in questo libro.

Gran parte della mia attività letteraria, in quel mio primo giovenile errore, cercava di ripristinare ma soprattutto di reimpostare (considerati i nuovi paradigmi del nostro tempo) una connessione orizzontale, e quindi anche verticale, all’interno della comunità (nella sua natura di melting pot, ovviamente) degli scrittori, perché il presente avesse una forma, certamente complessa, ma pur sempre intelligibile, offerta al giudizio dei posteri.

Per intendere il problema, si potrebbe riesumare anche il concetto di post-moderno. La modernità è la tradizione che ci si offre ormai come repertorio completo e vario, in qualche modo anche piatto, perché con il crollo di ogni grande pensiero interpretativo del mondo è finito ogni storicismo, e se non c’è più progresso, il post-moderno è la libera rivisitazione e il libero rimescolamento di tutte le opzioni precedenti: non più “tradizioni” ma “esperienze”. Il pericolo che ci presenta Martino è quello di lasciarci incantare da tutto questo fenomeno, e di rimanere con la schiena rivolta alla storia e alla vita, per porre come oggetto della nostra arte la poesia stessa, elevata dunque a idolo o feticcio. Continua a leggere

Annibale Carracci, Il Mangiafagioli,

L’invenzione della realtà

Appartengo alla Mtv generation, cresciuta nel mondo dei video musicali, videogame e film d’azione.
Il mio immaginario è totalmente diverso da quello delle generazioni precedenti. Tutto è veloce e “pronto per l’uso”; ma così la concentrazione, e la capacità di approfondire le cose si è persa. Niente richiede sforzo e anche la cultura diventa un prodotto da fast food che va giù velocemente, riempie ma non contiene i nutrimenti necessari, proprio come lo zucchero che dà vigore per un momento ma il cui effetto svanisce subito.
Per apprezzare una cena dai sapori sottili accompagnata da un buon vino serve una preparazione.
Johan Silverhult

Se ne rendono conto molto bene gli insegnanti, che anno dopo anno si trovano di fronte ragazzi sempre più intuitivi ma irrequieti, incapaci di concentrazione e di perseveranza su obiettivi a medio e a lungo termine. E se ne rendono conto molto bene i genitori, impegnati a seguire figli terribilmente precoci, che gestiscono risorse spaventosamente potenti con competenze che loro stessi non possiedono neppure adesso, da adulti. Continua a leggere

Modern life is rubbish

Salvare la poesia? (di Umberto Fiori)

Vale la pena ripetere queste considerazioni di Umberto Fiori – tra i poeti che stimo maggiormente – come un antidoto a una presunzione che ha radici intricate, che cercano nutrimento anche in terreni fertili di buone intenzioni… 

Sono in molti, oggi, a temere che di qui a pochi anni, travolta e soffocata – da nuove tecnologie, da nuove forme di comunicazione, da un sistema di valori che la ignora o addirittura le si oppone, insomma da quell’orda di spettri di cui – da sempre – è popolato il futuro della modernità, la poesia scompaia. Continua a leggere

Kung Fu Panda e l'ingrediente segreto

Narrativa d’oggidì (2)

Qualche spunto di riflessione conclusivo

Abbiamo voluto, con questa inchiesta, giocare un po’, consapevoli della serietà di ogni gioco. Con un approccio più lieve del solito, abbiamo dato udienza ad alcuni narratori. Il campione scelto non ha alcuna pretesa di rappresentatività, anche perché era evidentemente sbilanciato a vantaggio delle voci più nuove del panorama odierno. Ciò non significa affatto che sia stata un’inchiesta inutile. Ci sembra, per esempio, che i lettori abbiamo avuto la possibilità di farsi incuriosire da qualche autore, oppure di formarsi delle prime impressioni. In un mondo in cui non si può leggere tutto ed essere informati su ogni novità editoriale, anche queste occasioni diventano preziose. Capita così di raccogliere in una svagata chiacchierata in piazza un titolo, un’idea, una provocazione che in seguito, magari, attecchirà.
Ciò detto, tentiamo qualche riflessione conclusiva. Continua a leggere

Marino Magliani

Narrativa d’oggidì: Marino Magliani

L’Olanda e Genova, l’orizzontalità e la verticalità – ma anche la Spagna, il mondo latinoamericano: ecco il genio spaesato di Marino Magliani

Perché scrivi?

Ho risposto centinaia di volte a questa domanda, e ogni volta diversamente. Forse la più sincera è che mi sono ritrovato presto con due mani sinistre, e la vita non ha mai perso occasione di ricordarmelo. Facciamo qualche esempio: figlio di olivicoltori, ben presto mi sono accordo di soffrire di vertigini e quindi impossibilitato a salire sulle piante per la bacchiatura, la potatura. Mi sono imbarcato e soffrivo il mal di mare. E fermiamoci. Un giorno sulla carta ho provato a raccontare queste cose e mi sono divertito. Ci provo ancora adesso, ma non mi diverto più. Continua a leggere

Claudio Bagnasco

Narrativa d’oggidì: Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco corre verso il limite, perché sa che solo in quel luogo incandescente si può trovare, infine, una pace tesa, una pazienza alacre

Perché scrivi?

Dando tre brevi risposte, che poi a ben vedere sono una sola, dico che scrivo per fare di necessità virtù, perché ho paura della morte, per donare agli altri qualcosa di ben fatto (e, spero, di bello). Continua a leggere

Alessandro Zaccuri

Narrativa d’oggidì: Alessandro Zaccuri

Attenzione: quando Alessandro Zaccuri parla di elogio dell’esistente, non parla affatto in nome di un atteggiamento rassegnato. Si scrive per fare chiarezza…

Perché scrivi?

Perché è quello che ho sempre voluto fare e che, in un certo senso, ho sempre fatto. Da bambino volevo già diventare scrittore, poi crescendo mi è venuto il dubbio di non essere capace. Allora mi sono rivolto alla critica, addirittura alla filologia (ho una laurea in letteratura latina medievale, che è un campo eccellente per misurarsi con manoscritti, varianti e cultura materiale della parola). E così arriviamo alla fine degli anni Ottanta, quando, dopo quasi un decennio di collaborazioni a riviste e rivistine, divento giornalista, ossia uno che scrive per mestiere. Ottima scuola, la redazione di un quotidiano, almeno per me. Si impara a scrivere in un tempo dato e in una misura predefinita, ci si può mettere alla prova ogni giorno, portare a termine piccoli esercizi di stile senza che nessuno se ne accorga. Nel frattempo continuavo a prendere appunti, ad abbozzare progetti. Attorno al 2000, quando mi sono deciso a fare il salto, mi sono accorto che potevo tornare in contatto con il tipo di scrittura che avevo sperimentato da ragazzo, nel periodo in cui mi applicavo principalmente alla poesia. Ho ritrovato un rapporto con le parole che porta alla chiarezza. Non a “dare un senso” a ciò che accade, perché il senso preesiste alla scrittura, che deve semmai imparare a riconoscerlo, amarlo e accettarlo. Il motivo vero della scrittura, per quanto mi riguarda, lo ha definito una volta per tutte Auden: il compito della poesia, diceva, consiste nel «lodare tutto ciò che può, per il fatto che esiste e che accade». Continua a leggere