Errando discitur, si continua a ripetere, eppure ormai il motto serve soltanto per scivolare via dagli errori, per toglierceli sbrigativamente dallo sguardo. Paradossalmente, con questo atteggiamento buonista non curiamo, ma addirittura nutriamo l’ansia degli studenti. Il riconoscimento, l’osservazione, l’analisi dell’errore deve invece essere una pratica di vita (non solo scolastica) costante, vissuta ovviamente con molta serenità.
Dedico diverso tempo, e non soltanto nei primi mesi di scuola, per insegnare ai miei alunni questo atteggiamento. Vieto loro il bianchetto, li guido alla pratica dell’autovalutazione, assegno valutazioni dopo la correzione guidata di determinati esercizi, uso persino il verde, nelle mie correzioni manuali, per attutire l’impatto sulla pagina. Chiedo loro di pensare allo sbaglio come a un passaggio non solo naturale nel processo di apprendimento, ma strategico. Un errore è come una porta: va trovata e aperta, per accedere a un nuovo livello del gioco. Per questo mi piace “indurli all’errore”: non poter punirli, ma per “abitare” insieme a loro il pensiero che ci ha condotti lì, su quella soglia scivolosa. Continua a leggere