Si parte, e non si sa bene perché: si risponde a un impulso che vince la nostra resistenza, che mette in scacco la consapevolezza. Fossimo sempre presenti a noi stessi, resteremmo immobili nella sostanza, aderenti. E invece siamo dannatamente alla ricerca di un corpo che ci assomigli di più.
Si parte. Si fa spazio al fallimento. Ci si assume la responsabilità della propria ignoranza, si accetta la finitudine umana, sperando che un riverbero di bellezza si riveli nel movimento, che le ragioni del viaggio si manifestino in qualche barbaglio, in una figura trattenuta nella coda dell’occhio. Siamo attratti dal vuoto, proviamo la vertigine degli spazi, ci proiettiamo verso l’orizzonte, per dare corso all’inseguimento di noi stessi. Siamo l’essenza, la continuità nella contraddizione, l’infrazione del silenzio.
Che cosa ci dà il coraggio di esordire? Una persona, sempre e solo una persona da raggiungere, che ci ha sfiorato e di cui abbiamo conservato un profilo incerto non si sa perché: la traccia di un profumo, la sensazione di una voce vera che ci parlava di noi.

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Marco Merlin
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