Tag Archivio per: GIUDICI

Giovanni Giudici

Giudici traduttore

Un critico smaliziato potrebbe distinguere nel quaderno di traduzioni di Giovanni Giudici A una casa non sua. Nuovi versi tradotti (1955-1995), che segue il precedente Addio, proibito piangere uscito da Einaudi nel 1982 (ma bisogna ricordare almeno anche le assai apprezzate traduzioni dell’Evgenij Onegin di Puškin e degli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola), i fili che compongono l’ordito di un’ideale coerenza fra le traduzioni e le opere poetiche dell’autore. Continua a leggere

Cartelli stradali: quale direzione?

Altre divinazioni per la poesia di domani, di oggi, di ieri

Sto immaginando un testo composto da innesti plurimi, che si muove su piani intersecati. Un testo sghembo, sempre a rischio per l’equilibrio precario, dato dal combinarsi, al suo interno, di forze differenti. Una poesia che concili gli opposti senza essere contraddittoria: chiara e oscura, libera e chiusa. Continua a leggere

Giovanni Giudici (3)

Recita a soggetto. Appunti su Giovanni Giudici (3 di 3)

Siamo così allo snodo fra Autobiologia e O beatrice.

La raccolta si apre con un laconico ma divertito riconoscimento: «Non cerco la tragedia ma ne subisco la vocazione», clausola di una poesia intitolata altrettanto significativamente Mi piacerebbe ma non vorrei essere un poeta tragico. Può darsi che dietro l’ostentata conoscenza della propria natura poetica si celi una crisi d’identità, a suo modo giustificata all’interno di quel rovesciamento di prospettive di cui si diceva. Anche il fatto di portare a tema della poesia la stessa creazione poetica è sintomatico, e l’autore, consapevole di quale sia Il prezzo del sublime («Il niente // è il prezzo del sublime»), non può restarne indifferente. La strategia che comunque adotta coscientemente è la mescolanza dei generi, o meglio ancora l’infrazione dei generi, perché infine tragedia e commedia si intreccino. Continua a leggere

Giovanni Giudici (2)

Recita a soggetto. Appunti su Giovanni Giudici (2 di 3)

Vanno sicuramente ascritte agli esiti più tipici di Giudici le sequenze affabili e colloquiali di Una casa a Milano, Se sia opportuno trasferirsi in campagna, Una sera come tante, Le ore migliori, Quindici stanze per un setter, poesie che sintomaticamente portano a tema l’abitare e chiudono entro uno spazio domestico tutte le tensioni sociali e biografiche che caratterizzano il personaggio, proprio come le strutture metriche e retoriche, l’understatement espressivo e la prossimità intima degli interlocutori determinano il margine di concentrazione della fantasia poetica. Si evitano in questo modo anche le pesanti cadute “realistiche” che potevano affiorare entro una condensazione simbolica più vaga, come per esempio in Tempo libero («la sveglia sulle sette, un rutto, un goccettino / – e tutto ricomincia – amaro di caffè»), Con lei («A pensarci, lei era poco più d’una sciocca, / oggi diresti che la mette giù dura, / e molto meno ti chiede colei che ripete: / cinquemila in albergo e in macchina due, con la bocca») o Le giornate bianche («Di altro più che realtà ci disturba il pensiero: / come l’uomo – non so – che all’aperto / costretto a defecare teme che arrivi / la guardia o l’impiegato esemplare / segue con batticuore la teppista puttana / nell’alberghetto trepido di sorprese»). Continua a leggere

Giovanni Giudici (1)

Recita a soggetto. Appunti su Giovanni Giudici (1 di 3)

La vita in versi [1], come risaputo, è il titolo programmatico della raccolta con la quale Giovanni Giudici era riuscito dopo le prime prove poetiche a ritagliarsi una propria riconoscibile fisionomia letteraria, a metà degli anni Sessanta, quando s’imponevano neoavanguardia da una parte ed esperienze alternative all’apice della maturità (Luzi con Nel magma e Sereni con Gli strumenti umani) dall’altra, tanto che ancora oggi rimbalza di presentazione in presentazione per introdurre a quella sorta di alter ego un po’ fantozziano messo sulla scena poetica dall’autore: un impiegato alle prese con tutte le difficoltà economiche che mettono a repentaglio il decoro sociale, animato da qualche velleità di ribellione immediatamente frustrata, vittima di complessi e sensi di colpa che gli derivano anche dalla giovanile e un po’ bigotta educazione cattolica ricevuta in collegio, desideroso di trasferirsi in campagna ma attratto dalle comodità che la città gli offre, tentato dalla sublime avventura della poesia ma radicato in un ruolo di adesione al destino delle classi subalterne, improvvisamente animato da fantasie erotiche e regressioni infantili, e così via. Ma, a ben vedere, adattandosi alla sigla del suo primo libro importante, si rischia di lasciarsi guidare da un fantasma di poetica tanto evidente ed emblematico da risultare in qualche modo addirittura prevaricante rispetto alle effettive prove testuali. Continua a leggere

Giovanni Raboni

Giovanni Raboni

Il 16 settembre 2004 moriva Giovanni Raboni, poeta fra i più importanti del Secondo Novecento. Non ho avuto modo di conoscerlo, l’ho incrociato solo in alcune circostanze, ma ho frequentato bene la sua poesia. Ripropongo nella ricorrenza un saggio che inclusi nella raccolta Nel foco che li affina.

Ai giudici che, in Milano, nel 1630, condannarono a supplizi atrocissimi alcuni accusati d’aver propagata la peste con certi ritrovati sciocchi non men che orribili, parve d’aver fatto una cosa talmente degna di memoria, che, nella sentenza medesima, dopo aver decretata, in aggiunta de’ supplizi, la demolizion della casa d’uno di quegli sventurati, decretaron di più, che in quello spazio s’innalzasse una colonna, la quale dovesse chiamarsi infame, con un’iscrizione che tramandasse ai posteri la notizia dell’attentato e della pena. E in ciò non s’ingannarono: quel giudizio fu veramente memorabile.

A. Manzoni, Storia della colonna infame

ANACRONISMO E REALTÀ. LA POESIA DI GIOVANNI RABONI Continua a leggere

Gruppo 63. L'avanguardia in vagone letto

La sfida delle ultime generazioni del ‘900 (Piccini)

Dalle strettoie polemiche ad una difficile nuova libertà: la sfida delle ultime generazioni poetiche del Novecento
di Daniele Piccini

È almeno a partire dagli Anni Settanta che gli autori di poesia in Italia si trovano a gestire, dopo la crisi rappresentata dal fenomeno dell’Avanguardia, una sorta di estrema difficoltà nel reperire una via propria, autonoma e individuale, nel quadro delle poetiche costituite. Questi, mentre sono chiamati a far proprio il corso vincente del Novecento italiano, devono anche metabolizzare la sua messa in questione e la sua contestazione da più punti di vista. Continua a leggere

L'arca di Noè di Lorenzo Perrone

Il canone del Novecento

(L’opera scelta come copertina – cliccare sull’immagine per la visualizzazione completa – è di Lorenzo Perrone)

A proposito di Luzi, si accennava al canone del Novecento. Affermare che il poeta fiorentino è un punto fermo tra i “classici” contemporanei era in fondo una provocazione, perché a tutti è noto quanto sia arduo stabilire gli autori “da antologia scolastica” fra i protagonisti della letteratura di fine Novecento, senza nemmeno pretendere di arrivare al primo decennio del nostro secolo.

Qualche tempo fa, in modo semiserio, avevo proposto il mio canone privato. Oggi rivedrei sicuramente qualcosa, ci sono autori che adesso mi sembrano sopravvalutati e altri che rivaluterei; tuttavia, a grandi linee, mi sembra di poter sottoscrivere ancora questo ragionamento. Continua a leggere

La rivista Atelier

Atelier – La guerra dei talenti

Copertina della rivista Atelier, n. 25

Atelier 25marzo 2002 – Lo scisma della poesia  Continua a leggere

Atelier – L’opera comune

Copertina della rivista Atelier, n. 13

Atelier 13marzo 1999 – Letteratura come atto “politico”  Continua a leggere