Kafka, “Un medico di campagna”
(L’opera scelta come copertina è di Antonello Silverini.
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Che cosa rappresenta nell’universo kafkiano o, meglio, che cosa diventa, nell’immaginario del lettore, il medico di campagna del famoso racconto che dà il titolo al volume, edito nel 1919, dedicato significativamente al padre?
Fin dalla prima riga siamo costretti a lottare con l’identificazione fra autore e protagonista che si esprime in prima persona. Dico “lottare” perché l’identificazione è agonica. Si potrebbe forse parlare in modo meno errato di proiezione. Ma lo stile di Kafka si immette in una sfera di angoscia onirica, ove si percepisce che tutti i personaggi, perfino gli animali e gli oggetti, sono avvertiti come una proiezione agonica. Come se il racconto non fosse altro che l’incubo di un Io che si contorce incosciente, o semicosciente, nel proprio letto; ogni pulsione del proprio corpo si materializza così nel sogno, in modo dissociato, in tutti i particolari, i dettagli che emergono dalla scena e ci parlano, con una sfumatura dello stile o una percezione straniata. Continua a leggere