Si può diventare i primi dissidenti russi della storia inconsapevolmente, per semplice amore della letteratura. E, si badi, non di letteratura impegnata, non a causa di opere scritte con intenzioni politiche. La letteratura, infatti, è eversiva in sé stessa. Questo ci ricorda la vicenda di Andrej Sinjavskij e di Julij Daniėl’, coscritti classe ’25 che negli anni Sessanta, sulla spinta dei venti riformisti durante la leadership di Chruščëv, pubblicarono all’estero, sotto pseudonimo, romanzi e racconti. Il fatto di per sé non rappresentava reato: vennero pretestuosamente accusati di propaganda reazionaria soltanto per la loro poetica non allineata al realismo imposto dall’ideologia socialista. Il Kgb riuscì a individuarli, dopo anni di fallimentari ricerche, perché durante il funerale di Pasternak, per un breve tratto, portarono sulle spalle la bara dello scrittore: chi erano quei due, così in sintonia, così devoti alla letteratura? Continua a leggere