L’altro giorno mi è capitato di fare un riferimento al tema della chiarezza e dell’oscurità in poesia. Mi è tornato perciò in mente questo bel saggio di Umberto Fiori, che vi ripropongo
Gli “sciacalli” di Montale. Riflessioni su oscurità e chiarezza in poesia
Nessuno scriverebbe poesie
se il problema della poesia
fosse quello di farsi capire.
Eugenio Montale
Nel febbraio del 1950 Eugenio Montale forniva, sul «Corriere della Sera», la chiave di lettura di due poesie tra le sue più oscure, il mottetto Lontano, ero con te quando tuo padre, quarto della serie nelle Occasioni, e il sesto, quello «degli sciacalli», rivelandone i moventi e ricostruendone il contesto (1). Quali reazioni abbiano prodotto allora le due “spiegazioni”, non mi è noto; posso dire che a me, quando le trovai nel volume di scritti Sulla poesia (1976) diedero un senso di liberazione, ma anche di delusione, e di irritazione. Fin da ragazzino mi ero chiesto cosa c’entrassero gli sciacalli con la signora a cui il poeta si rivolgeva, chi fossero “i” Cumerlotti e “gli” Anghébeni (che istintivamente associavo a Capuleti e Montecchi), e perché intorno a loro scoppiassero spolette e accorressero squadre. A imitazione degli adulti, continuavo anch’io ad ammirare gli abiti nuovi dell’imperatore, pensando: capirò da grande. Invece, niente: nonostante l’età e gli studi l’enigma restava, e chiedere lumi a qualcuno diventava sempre più imbarazzante. Continua a leggere