Tag Archivio per: TERRAMADRE

Schermo

Risveglio in sala

Oggi, una poesia.

(Viene da qui)

 

«Ma sono slavi?» Rispose di sì,

o così almeno gli parve di dire

costretto alla parola per la forza

di quella voce

femminile e notturna, «sono salvi, Continua a leggere

Andrea Temporelli, "Di me medesmo meco mi vergogno"

Di me medesmo meco mi vergogno

Non mi piace mostrarmi. Ma quando è l’ora di metterci la faccia, non mi tiro indietro.

Del resto, restare invisibili di questi tempi è praticamente impossibile.

Eccomi qui, dunque:

Déjà Vu, di Giuseppe Colarusso, fotografia digitale, 70x50 cm

Vertigine

(L’opera scelta come copertina è di Giuseppe Colarusso.
Cliccare sull’immagine per la visualizzazione completa)

Il funambolo, passo dopo passo,
perfeziona la scienza di esibire
eleganza e potenza,
contrastare con l’arte la natura
e disinvoltamente
oscillare, voltarsi,
tenere in apprensione, prolungare
l’estasi della gente per stupire
con un oplà finale e far scoppiare
uno scroscio d’applausi,
mentre là in alto sembrerà bellissimo,
solo
come un eroe Continua a leggere

Le ali dell'incomprensibile, di Silvia Pastano, acrilico e sabbia, tela, 2012 (qui uno degli elementi del dittico), 50 cm x 100 cm x 4 cm

Il poeta oscuro e il lettore smarrito

(L’opera scelta come copertina è di Silvia Pastano.
Cliccare sull’immagine per la visualizzazione completa)

Di tanto in tanto, il fantomatico lettore di poesia si materializza. L’ultima volta che ne ho incontrato uno è stato durante un incontro in cui si discuteva intorno alla mia generazione. Quando ha preso il microfono e si è messo, con buone maniere, a lamentarsi per il nostro incomprensibile e stucchevole parlarci addosso, intorno a questioni varie (“menate”) che finiscono sempre per annoiare e allontanare anche i pochi lettori rimasti, si è sollevata dalla platea una sacrosanta ovazione. Ho applaudito anch’io, consapevole delle sue ragioni, ma anche dispiaciuto di non potergli rispondere a dovere. Continua a leggere

Kosovo 1999, Fatmir Trashani

Ballata del mese di maggio

(L’immagine in evidenza di questo articolo viene da qui)

Riprendiamo l’esperienza raccontata ieri. Dopo la prima lettura ci siamo limitati a riconoscere la struttura della ballata, qui con un ritornello che effettivamente si ripete dopo la prima stanza, per essere sostituito invece alla fine. Poi, per mettere a fuoco meglio le diverse impressioni, abbiamo riletto, senza fretta:

Pristina rosa, rosa dolorosa,
stelo ubriaco e vulva spappolata,
dei figli che tu spandi
ne farò marmellata. Continua a leggere

Pudore, di Marta Ferro

L’imbarazzo del prof

(L’immagine in evidenza di questo articolo è un disegno di Marta Ferro)

A scuola per anni non ho mai parlato apertamente della mia attività letteraria, né in classe né con i colleghi. Non che fosse un argomento tabù, ma di fatto non ho mai raccontato nulla. Qualcuno, ovviamente, finiva per intercettare qualche notizia, ma un’allusione di tanto in tanto scappava come una scintilla perdendosi nell’aria e tutto finiva lì. Qualcuno un giorno addirittura appese in bacheca in corridoio alcuni miei testi apparsi in rivista, con tanto di fotografia. Ci fu chi mi fece notare, perfettamente in buona fede, quanto mi assomigliasse, il poeta. Del resto il nome, a chiare lettere, non era il mio.
Con il tempo, però, almeno tra i colleghi di più lungo corso, la consapevolezza della mia attività e del mio nom de plume si è consolidata. Tuttavia, soltanto pochi, due o tre, in rare occasioni mi hanno chiesto qualcosa di più specifico. Con una persona soltanto sono entrato nel merito più spesso, a partire da riflessioni e da scambi di opinioni intorno alla letteratura contemporanea da affrontare agli ultimi anni del liceo. Forse qualcuno ha pensato che il mio riserbo fosse una buona ragione per frenare la curiosità. Trovo comunque abbastanza normale che i miei colleghi ignorino i miei libri o li abbiano, al più, sentiti nominare.
Comunque, negli ultimi anni mi è capitato in qualche classe di uscire allo scoperto. All’improvviso. Forse l’ho fatto per trovare un ultimo espediente buono per sorprenderli, per spezzare qualche momento eccessivamente inerte. Così è stato recentemente nell’attuale Quinta Ginnasio.

“Oggi, visto che dovremmo trattare la ballata, analizzeremo una mia poesia”. Continua a leggere

Andrea Temporelli, Il cielo di Marte e Terramadre

La fine del “lutto” (di Giuliano Ladolfi)

Andrea Temporelli rappresenta il talento poetico più emblematico dei poeti della generazione Anni Settanta. […] Con lui il processo di distacco dal “novecento” appare giunto al termine. La sua poesia […] si radica in una acuta consapevolezza artistica maturata su una diuturna attività di critico.

Andrea Temporelli rappresenta il talento poetico più emblematico dei poeti della generazione Anni Settanta. Questo giudizio è supportato dall’autorevole parere di Giovanni Raboni, di Maurizio Cucchi e di Roberto Galaverni. Con lui il processo di distacco dal “novecento” appare giunto al termine. La sua poesia, nata e coltivata nel respiro di «Atelier», si radica in una acuta consapevolezza artistica maturata su una diuturna attività di critico. Del resto, la prestigiosa “bianca” di Einaudi ha tenuto a battesimo il suo esordio poetico, Il cielo di Marte (2005).

Il risultato è un miracolo di stile che con una perizia insuperata Continua a leggere

Andrea Temporelli, Terramadre (2012)

Una calma nervosa, un allarme potenziale (di Paolo Febbraro)

La poesia di Temporelli [Teatro delle selve, ndr] ha una sua caratteristica calma nervosa, un allarme potenziale, un’insidia alla quale rispondere con un fatalismo robusto, una parola netta. Le selve, le balze e i dirupi lo tentano, lo rispecchiano, mostrandogli obliquamente tutti i pericoli che corre: lo mettono nella situazione estrema gradita a colui che per la chiarezza esistenziale mette a rischio molto, forse tutto. Onestà perentoria e ascesa agonistica verso una presa d’atto inderogabile; ecco la musica severa di questo poeta, che riesce a moralizzare il paesaggio senza farlo sbiadire in un’idea: «La metrica / dei piedi e dei polmoni / non vuole suggestione. / Morde la terra il fiato di chi è perso». «Con tutto ciò», aggiunge il poeta, non ogni cosa corrisponde a quest’asprezza, qualcosa si sfila e va a costituire un altro mondo, un’apertura. Persino le pietre possono essere smosse con cura, e l’avventura di chi si espone ai dirupi può trovare un sentiero, un’arte antica, la composizione e il tramandarsi degli affetti.

(Paolo Febbraro, Poesia d’oggiNota di lettura alla poesia Teatro delle selve, “Il Sole 24 Ore”, 21 luglio 2013, p. 29)

Andrea Temporelli, Terramadre (2012)

Un delicato passaggio (di Salvatore Ritrovato)

Ogni sezione del libro presenta un suo peculiare equilibrio che si proietta in un nucleo inabissato del volume, e nello stesso tempo delinea un disegno decentrato che attende la sua chiusura, sia pure provvisoria, in un orizzonte più vasto di opere.

La seconda raccolta di Andrea Temporelli, dopo Il cielo di Marte (Torino, Einaudi, 2005) è un pullulante eterogeneo sistema di diversi insiemi poetici, noti e venuti alla luce in diversi momento del percorso del poeta come, per esempio, la silloge La buonastella, nel collettivo Poesia contemporanea. Settimo quaderno italiano (Marcos y Marcos 2001). Dunque, se è vero che Terramadre può apparire come il «risultato di uno sviluppo nervoso, a scatti, con improvvisi scarti anche all’indietro» — avverte l’autore nella nota finale — fra «agglomerazioni provvisorie di poesie collassate in scritture sommerse, costellazioni che non si sono fissate malgrado la struttura compatta», senza dimenticare Continua a leggere

Andrea Temporelli, Terramadre (2012)

Una natura sempre in bilico (di Alida Airaghi)

Una natura sempre in bilico tra promessa e minaccia, seduzione e sfida […], provocando fantasmagoriche allucinazioni mentali […], a cui il poeta oppone una dignitosa ed esplorativa resistenza.

Sei sezioni compongono questo libro di Andrea Temporelli, contrassegnate da titoli che rimandano alla natura o al dominio dello spirito, temi che si rincorrono e intrecciano in tutto il volume. Una natura sempre in bilico tra promessa e minaccia, seduzione e sfida («Certe mattine il cielo è una promessa», «il ticchettio spaventa i nidi, il vento / turbina foglie e lacera giornali, / promette brace fuoco e zolfo»), provocando fantasmagoriche allucinazioni mentali («crepita il fuoco e accresce in mostri / piccoli insetti»), a cui il poeta oppone una dignitosa ed esplorativa resistenza: «lui rimarrà lì immobile ad attendere», «io assisto allo spettacolo da qui, / semplicemente. / … non attendo nessuno / non ho nulla da dire / piuttosto prendo appunti». Continua a leggere