«Io non scrivo più da tempo, da quando conobbi Davide. Probabilmente, se non avessi conosciuto Davide, non avrei smesso di scrivere, e sarei diventato un autore. “Autore” per Davide era quasi una bestemmia. Per Davide dire “autore” era come dire “scribacchino”. Sì, io sarei diventato un autore, se non avessi conosciuto Davide, un buon autore, un onesto mestierante consapevole delle proprie virtù. Ma se si incontra il più bravo di tutti, se si incontra un vero poeta, bisogna rinunciare. Se incontri un autore ti metti a scrivere anche tu, si dice la gente. Ma se incontri un poeta vero, se sei sufficientemente bravo da capire che lui è un poeta vero, non puoi che metterti a tacere. E io incontrai Davide, che era il migliore. Diventammo presto amici. Un autore, mi diceva, è convinto di conoscere la propria arte, ma un poeta invece sa di non sapere un bel nulla. Un poeta, disse, non concettualizza la propria arte, è un dilettante. È vero, risposi, perché capii che lui aveva un’idea altissima della poesia, che non è qualcosa di dominabile. Il vero poeta è un dilettante, mi ripetei da allora in poi, e smisi di scrivere, perché io ero troppo pieno delle teorie di cui mi ero imbevuto, delle poetiche che avevo studiato, delle visioni dell’arte che ci insegnavano, fino a farci nascere contraffatti, fino a farci nascere autori e non più poeti. Un vero poeta non ha alcuna concezione dell’arte, diceva Davide. E adesso che l’unico poeta che abbia mai conosciuto è morto, mi vergogno di essere ancora in vita io. Perché merito di essere sopravvissuto al suo genio? Io non posso essere, adesso, accondiscendente con me stesso, perché ho conosciuto Davide. Davide era intransigente con sé stesso. Non si concedeva la minima inesattezza, non si perdonava nessuna sillaba di troppo. Detestava quelli che parlavano senza aver prima pensato a lungo, e fino in fondo, il loro pensiero. Continua a leggere