La letteratura italiana non esiste più
La letteratura italiana non esiste più.
Questo non è un giudizio, è una constatazione.
Non si tratta di ripetere ipocritamente che gli scrittori, oggi, sono mediocri, che i libri sono merce determinata dal mercato, che il genio italico si è perduto con la deriva geopolitica del nostro Paese. Autori ambiziosi, guidati da un’immagine alta di letteratura, ancora ce ne sono, per quanto siano misconosciuti e costretti, nella migliore delle ipotesi, a resistere in qualche nicchia (ma la tendenza è addirittura quella di darsi alla macchia). Romanzi che non siano solo storie, ma anche oggetti linguistici pulsanti, corpi verbali attraversati da una musica propria, azzardi esistenziali, ancora se ne trovano – se si ha voglia di cercare.
È vero, la capacità di giudizio si è generalmente attutita, spesso il senso critico si dimostra ottuso sotto le martellate del senso comune, delle logiche dozzinali delle case editrici, del fantasma della massa con i suoi desideri, le sue richieste stimolate, in un gioco vanesio di specchi, dal potere. Ma, fidatevi, narratori e poeti di genio ce ne sono.
Ma sono narratori e poeti da ammirare in quanto tali; che siano anche italiani in fondo è un accidente. Saranno ovviamente consapevoli della nostra tradizione, nella quale saranno pure sprofondati. Ma questo inabissamento comporta anche uno sfondamento, se hanno del genio. Non siamo più dentro l’orizzonte storicistico di chi poteva trovare, nelle maggiori opere scritte in italiano, il profilo civile e morale di una nazione: lo abbiamo già scritto.
Allora, ripetiamolo meglio. La letteratura italiana non è mai esistita. Forse sono esistite diverse letterature italiane, che abbiamo mirabilmente portato a sintesi, ma a prezzo di sostanziali equivoci, rimozioni, forzature, crimini artistici. E forse la letteratura italiana nasce da una costola di quella francese, anche se si vantava di essere la primogenita della cultura latina. Ma la letteratura latina, a sua volta, non è altro che una tradizione della letteratura greca. E il nostro Genio Assoluto, il Divin Poeta? Nel Novecento Dante Alighieri è rientrato dalla finestra, grazie a Eliot. E, in ogni caso, accanto a Dante non si può ignorare quel barbaro non privo d’ingegno di Shakespeare, nel cuore del canone occidentale.
Basta. Moltiplicate voi gli esempi. Ricordate voi i secoli d’oro in cui gli italiani scrivevano in latino, o i tempi in cui nella corte inglese si parlava correntemente in italiano. Citate Mengaldo, che nella poesia italiana del secolo scorso immette dosi massicce di dialetto. Fatto sta che non c’è narratore (italiano) oggi che non si sia fatto le ossa sulle pagine di Roth, di Carver, di DeLillo, di Foster Wallace e compagnia bella. E non parlo degli autori migliori, altrimenti avrei citato ben altri maestri (Proust, Nabokov, Dostoevskij, Melville, Kafka…). Allo stesso modo, non c’è poeta che non abbia sulla lingua un vago sapore di Celan, di Rilke, di Eliot, di Baudelaire.
Oggi come allora, oggi forse ancor più di allora.
Per questo, la letteratura italiana non esiste. Esiste la letteratura in sé, con le sue infinite onde linguistiche, sempre cangianti, inafferrabili, pronte a sovrapporsi e riverberarsi.
La poesia, infatti, è linguaggio universale che s’immilla per ogni accento, direbbe un buon italiano.
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