La generazione postmoderna (di Giovanni Raboni)
A loro e a qualcun altro sento che dovremo, nei prossimi anni, attenzione
Ci sono davvero, dunque, i poeti di vent’anni. A fugare ogni dubbio in proposito sono uscite, a breve distanza l’una dall’altra, due interessanti antologie: L’opera comune a cura di Giuliano Ladolfì (Atelier) e, appunto, I poeti di vent’anni a cura di Mario Santagostini (Stampa). E perché, poi, avremmo dovuto dubitarne? Nonostante i grandi sforzi compiuti nel corso dei secoli, gli uomini non sono riusciti a produrre, finora, né una società tanto perfetta da eliminare il bisogno della poesia, né una tanto brutale da impedirne l’esercizio; e le due eventualità appaiono entrambe (la seconda, per la verità, un po’ meno della prima) abbastanza remote.
Vediamoli, allora, questi poeti; o meglio, vediamo cosa ne dicono, in linea generale, i due curatori, qualsiasi accertamento critico ad personam risultando in questa sede, oltre che prematuro, impossibile. Per cominciare, qualche ragguaglio numerico: i poeti selezionati da Ladolfi sono diciassette, quelli selezionati da Santagostini sedici; per un totale, tuttavia, non di trentatré, bensì di ventinove autori, dal momento che quattro (per la cronaca: Elisa Biagini, Gabriel Del Sarto, Andrea Ponso, Andrea Temporelli) figurano in entrambe le scelte. Tutti nati, ovviamente, nel corso, non pochi addirittura nella seconda metà, degli anni Settanta; e si può aggiungere che fra i luoghi d’origine prevalgono le regioni del Nord e del Centro. Ma l’ultimo dato è da filtrare attraverso l’osservazione di Ladolfì che «non esiste più né centro né periferia, nessun luogo può ritenersi privilegiato o emarginato»: Treviso e Varese contano, insomma, quanto o più di Roma o di Milano.
Ma cosa scrivono e, soprattutto, come scrivono (quanto al cosa, basti una notazione di Santagostini: «II protagonista è sempre un io che parla, non un linguaggio») questi ventinove autori? Di solito, per cogliere le caratteristiche di una generazione poetica, si cerca di capire in che rapporto si ponga (di continuità più o meno esplicita o invece di rottura, di rifiuto, di uccisione simbolica) con la generazione o le generazioni che l’hanno preceduta; ed è il punto, infatti, sul quale sia Ladolfì sia Santagostini si interrogano, partendo da rilievi analoghi ma arrivando a conclusioni assai diverse sebbene non proprio divergenti. Per Ladolfì quella degli attuali ventenni è una generazione «non polemica», nel senso che non si oppone in modo specifico a nessuna impostazione o corrente tipica degli scorsi decenni (neoavanguardismo, neoorfismo, neo-metricismo, ecc.); e Santagostini, a sua volta, constata l’assenza di «rifiuti agonistici» e ipotizza anzi una «tolleranza molto attiva del passato». Ma mentre per Ladolfi la non-polemicità verso i padri (e i fratelli maggiori) si accompagna a «una diffusa convinzione della fine del Novecento», Santagostini parla di una sorta di «ripresa dell’esistente», come se l’intero Novecento apparisse a questi giovani «un immenso contenitore di emozioni verbalizzate, di tecniche verbalizzanti, di topoi stilistici […] ai quali è lecito ispirarsi per parlare di se stessi» (nonché, riprendendo un altro punto forte del bel saggio di Santagostini, per opporre una koinè letteraria consolidata – una sorta di «latino» – alla poderosa circolazione di «poeticità spuria o di seconda, terza scelta» indotta dal dilagare dei «mix espressivi»: canzonette, video e così via). È l’impressione che ho avuto anch’io scorrendo le due antologie; e non saremmo troppo lontani, se l’impressione fosse degna di conferma, da quell’idea di «postmoderno» che tanta e sia pur ambigua fortuna ha avuto in questi anni (e dunque, indirettamente, nemmeno dalla «convinzione della fine del Novecento» di cui parla Ladolfì).
È singolare che, nonostante le coincidenze (anche nominative) alle quali ho accennato, e benché le fonti consultate siano, per dichiarazione dei curatori, all’incirca le stesse (ossia, in pratica, alcune riviste specializzate, a cominciare naturalmente da Atelier di cui Ladolfi è uno dei direttori), dai due volumi emergano due panorami non dico contrastanti, ma certo tutt’altro che sovrapponibili. La spiegazione sta, credo, più che in una diversità di «gusti», in una diversità di impostazione e oserei dire di ispirazione: più filosofica, o comunque concettuale, quella di Ladolfi, più storico-formale quella di Santagostini (che proprio per questo mi è risultata, personalmente, più comprensibile e più condivisibile).
Dio mi guardi, fra tante voci diverse e perlopiù in via di stabilizzazione, dal voler proporre graduatorie. Ma leggere senza scegliere è impossibile, e dirò dunque che fra i testi sui quali mi sono soffermato con maggior piacere ci sono, nell’antologia di Ladolfi, quelli di Riccardo Ielmini e di Andrea Temporelli; nell’antologia di Santagostini quelli di Silvia Caratti e (ancora) di Temporelli. A loro e a qualcun altro sento che dovremo, nei prossimi anni, attenzione.
(Giovanni Raboni, Arriva la carica dei poeti ventenni, la vera generazione postmoderna, «Corriere della Sera», 10 settembre 2000, p. 31)
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