L'opera comune. Antologia di poeti nati negli Anni Settanta (1999)

La generazione postmoderna (di Giovanni Raboni)

A loro e a qualcun altro sento che dovremo, nei prossimi anni, attenzione

Ci sono davvero, dunque, i poeti di vent’anni. A fugare ogni dubbio in proposito sono uscite, a breve distanza l’una dall’altra, due interessanti anto­logie: L’opera comune a cura di Giuliano Ladolfì (Atelier) e, appunto, I poeti di vent’anni a cura di Mario Santagostini (Stampa). E perché, poi, avrem­mo dovuto dubitarne? Nonostante i grandi sforzi compiuti nel corso dei secoli, gli uomini non sono riusciti a produrre, fi­nora, né una società tanto per­fetta da eliminare il bisogno della poesia, né una tanto brutale da impedirne l’esercizio; e le due eventualità appaiono en­trambe (la seconda, per la veri­tà, un po’ meno della prima) ab­bastanza remote.

Vediamoli, allora, questi poeti; o meglio, vediamo cosa ne di­cono, in linea generale, i due cu­ratori, qualsiasi accertamento critico ad personam risultando in questa sede, oltre che prematuro, impossibile. Per comincia­re, qualche ragguaglio numeri­co: i poeti selezionati da Ladolfi sono diciassette, quelli selezio­nati da Santagostini sedici; per un totale, tuttavia, non di trentatré, bensì di ventinove autori, dal momento che quattro (per la cronaca: Elisa Biagini, Gabriel Del Sarto, Andrea Ponso, Andrea Temporelli) figurano in entrambe le scelte. Tutti nati, ovviamente, nel corso, non pochi addirittura nella seconda metà, degli anni Settanta; e si può ag­giungere che fra i luoghi d’origi­ne prevalgono le regioni del Nord e del Centro. Ma l’ultimo dato è da filtrare attraverso l’os­servazione di Ladolfì che «non esiste più né centro né periferia, nessun luogo può ritenersi privi­legiato o emarginato»: Treviso e Varese contano, insomma, quanto o più di Roma o di Mila­no.

Ma cosa scrivono e, soprattut­to, come scrivono (quanto al cosa, basti una notazione di San­tagostini: «II protagonista è sem­pre un io che parla, non un linguaggio») questi ventinove auto­ri? Di solito, per cogliere le ca­ratteristiche di una generazione poetica, si cerca di capire in che rapporto si ponga (di continui­tà più o meno esplicita o invece di rottura, di rifiuto, di uccisione simboli­ca) con la generazio­ne o le generazioni che l’hanno precedu­ta; ed è il punto, in­fatti, sul quale sia Ladolfì sia Santago­stini si interrogano, partendo da rilievi analoghi ma arrivando a con­clusioni assai diverse sebbene non proprio divergenti. Per La­dolfì quella degli attuali venten­ni è una generazione «non pole­mica», nel senso che non si op­pone in modo specifico a nessu­na impostazione o corrente tipica degli scorsi decenni (neoavanguardismo, neoorfismo, neo-metricismo, ecc.); e Santagosti­ni, a sua volta, constata l’assen­za di «rifiuti agonistici» e ipotizza anzi una «tolleranza molto attiva del passato». Ma mentre per Ladolfi la non-polemicità verso i padri (e i fratelli maggio­ri) si accompagna a «una diffu­sa convinzione della fine del Novecento», Santagostini parla di una sorta di «ripre­sa dell’esistente», co­me se l’intero Nove­cento apparisse a questi giovani «un immenso contenito­re di emozioni verba­lizzate, di tecniche verbalizzan­ti, di topoi stilistici […] ai quali è lecito ispirarsi per parlare di se stessi» (nonché, riprendendo un altro punto forte del bel sag­gio di Santagostini, per opporre una koinè letteraria consolida­ta – una sorta di «latino» – alla poderosa circolazione di «poeticità spuria o di seconda, terza scelta» indotta dal dilaga­re dei «mix espressivi»: canzo­nette, video e così via). È l’im­pressione che ho avuto anch’io scorrendo le due antologie; e non saremmo troppo lontani, se l’impressione fosse degna di conferma, da quell’idea di «po­stmoderno» che tanta e sia pur ambigua fortuna ha avuto in questi anni (e dunque, indiretta­mente, nemmeno dalla «convin­zione della fine del Novecento» di cui parla Ladolfì).

È singolare che, nonostante le coincidenze (anche nominati­ve) alle quali ho accennato, e benché le fonti consultate sia­no, per dichiarazione dei cura­tori, all’incirca le stesse (ossia, in pratica, alcune riviste specia­lizzate, a cominciare natural­mente da Atelier di cui Ladolfi è uno dei direttori), dai due vo­lumi emergano due panorami non dico contrastanti, ma certo tutt’altro che sovrapponibili. La spiegazione sta, credo, più che in una diversità di «gusti», in una diversità di impostazio­ne e oserei dire di ispirazione: più filosofica, o comunque con­cettuale, quella di Ladolfi, più storico-formale quella di Santagostini (che proprio per questo mi è risultata, personalmente, più comprensibile e più condivi­sibile).

Dio mi guardi, fra tante voci diverse e perlopiù in via di stabi­lizzazione, dal voler proporre graduatorie. Ma leggere senza scegliere è impossibile, e dirò dunque che fra i testi sui quali mi sono soffermato con mag­gior piacere ci sono, nell’antolo­gia di Ladolfi, quelli di Riccardo Ielmini e di Andrea Temporelli; nell’antologia di Santagostini quelli di Silvia Caratti e (ancora) di Temporelli. A loro e a qualcun altro sento che do­vremo, nei prossimi anni, atten­zione.

(Giovanni Raboni, Arriva la carica dei poeti ventenni, la vera generazione postmoderna, «Corriere della Sera», 10 settembre 2000, p. 31)

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