Il segno di mutamento di una generazione (di Giuliano Ladolfi)
Il testo è tutto giocato su due binari indissolubilmente legati: uno esperienziale ed uno letterario
La suggestione e l’incanto dei versi di Andrea Temporelli sottendono una forte e fondata fibra di poeta e di uomo. Il testo è tutto giocato su due binari indissolubilmente legati: uno esperienziale ed uno letterario. «Perché i libri non parlino ai libri» (M. Del Serra) era stato il programma di «Atelier» pubblicato sul primo numero e lo scrittore si è sforzato di tradurlo in stile personale.
L’epopea familiare con le «promesse», con la tristezza della prova e il senso di «finitudine» si estrinseca nella creazione di personaggi autentici collocati nella loro dimensione storica e individuale. Ci sono momenti in cui nella vita si giunge ad un bivio dal quale non è più concesso il ritorno. Ma essi, grazie ad un’incrollabile fede nel futuro che contraddistingue questi comuni eroi, nella sofferenza raccolgono «la rugiada di sale» per fecondare nuove esistenze, anche se alla fine cedono «nel cielo ottobrino».
A rivelare l’abissale distanza che separa Temporelli dal pericolo di un populismo ingenuo, di un descrittivismo o di un’agiografia di maniera si pone la sua consapevolezza letteraria che traduce in miti le singole figure appoggiandosi talvolta a reminiscenze classiche come l’accenno ad Enea che, nel momento in cui intraprende la missione affidatagli dagli dèi, trasporta il padre sulle spalle. Ad ogni modo la maggior parte dei simboli sono scavati nell’esperienza del poeta: il linguaggio del cielo, la figura paterna ricreata nel gesto di assumersi il passato sulle spalle e quella materna celebrata nella rosa interamente liberata da una tradizione edulcorata e trasformata in specchio di sofferenza.
Lo stile risente di questa impostazione; infatti, lo scrittore, pur ricalcando movenze fortemente realistiche legate a fatti e ad elementi concreti, mediante un lessico marcatamente allusivo e fonosimbolico e mediante un ritmo fortemente scandito, li risolve in emblemi collettivi in cui i riti di una famiglia diventano il segno di un mutamento di una generazione che sta ricercando il proprio volto.
(Giuliano Ladolfi, «Atelier», III, 10, giugno 1998, p. 68)
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