Narrativa d’oggidì: Davide Bregola

Davide Bregola non si lascia incantare dallo stereotipo più diffuso, secondo il quale lo scrittore scrive “per necessità” – affermazione che significa tutto e nulla…

Perché scrivi?

Ho avuto diverse fasi nella mia vita in cui la scrittura ha preso nuovi e diversi significati. Una volta, diversi anni fa, dicevo che scrivevo per necessità. Fondamentalmente lo dicevo perché faceva effetto ed era sufficientemente nebuloso da significare molto o nulla.

Quando mi sono accorto che tutti gli scrittori durante gli incontri in pubblico lo dicevano, ho pensato ci fosse qualcosa che non andava e allora ho cancellato “necessità” dal mio vocabolario interiore. Adesso scrivo perché quando sono di buon umore questa attività ne amplifica il senso e quando sono infelice o arrabbiato essa agisce come momento di catarsi. In questi anni cerco di capire se la scrittura mi fa bene o se invece nuoce alla mia spiritualità. Per scrivere cerco di consumare frequentazioni e conoscenze e a volte per trarre beneficio nella scrittura e nella creazione, nel potenziamento dell’immaginazione, uso soggiogare persone che prendo di mira, di cui mi appassiono momentaneamente per trarre linfa vitale non da loro, ma da me stesso nella condizione di dipendenza psicologica. Non è sano, soprattutto spesso, anzi sempre, si invertono i ruoli e io soggiaccio a chi originariamente doveva servirmi per poi essere trascurato e abbandonato fino a giungere alla condizione di indifferenza reciproca. È strano: si cerca l’altro o l’altra per aumentare il proprio potenziale, diciamo così, creativo, per poi accorgersi che proprio l’altro diventa causa di depotenziamento e allora l’unica soluzione è la solitudine. Se dovessi rispondere ora alla domanda direi: scrivo per essere soggiogato dalla mia volontà di potenza che diventa solitudine completa.

Qual è il tuo scarto rispetto alla narrativa odierna?

Io scrivo romanzi e libri sul bene di vivere e non sul male. Cerco la verità per il tramite del Bene. Si dice che l’uomo cerca questa verità con l’arte, la religione e la filosofia. Non essendo io particolarmente interessato a cercarla con queste ultime due discipline, la cerco attraverso l’arte e lo scarto sta nel non descrivere l’apocalisse ma cercare Senso attraverso le parole buone, le emozioni buone, che vi possono essere nell’apocalisse. Tutti i libri che ho fatto sottendono a questa idea. Non credo vi siano autori italiani che tentano questa strada. Per questo, anche per questo, per trovare la dimensione ideale alla mia idea di scrittura ho dovuto via via isolarmi dal contesto della cosiddetta Repubblica delle Lettere italiana che mi confondeva la visione del mondo così come volevo rappresentarla. Ora con gli scrittori italiani contemporanei ho solo rapporti di cortesia e di lavoro. li contatto per presentazioni o conferenze, mi parlano di gettoni di presenza, di rimborsi, vitto e alloggi. Per il resto leggo molta poesia e filosofia di persone morte. Hanno il vantaggio di non essere frequentate e conosciute personalmente e non possono né deluderci né esaltarci. C’è solo l’opera che parla.

Indicami un ingrediente a te caro per l’elaborazione del capolavoro di domani.

Il capolavoro di domani sarà di autore ignoto, sottoforma di poema e passerà di mano in mano senza l’ausilio del mercato. Arriverà in ogni formato plausibile: e-mail, cartaceo, video, file scaricabili. Sarà un testo molto popolare per tutti gli uomini della terra, scritto in svariate lingue, tradotto continuamente dalle lingue più conosciute a quelle più rare. Racchiuderà tutte le sapienze spirituali dell’uomo e avrà al suo interno simboli del subconscio, idee filosofiche, magnifiche descrizioni di paesaggi e luoghi, utilizzerà una lingua precisa come solo le opere spirituali delle grandi religioni mondiali sanno utilizzare. Non avrà pretesa poetica o letteraria, ma sapienziali. Non sarà scritto per glorie personali ma per la volontà di Bellezza e Verità. E-book, morte del romanzo, morte del libro in questo senso sono idee veramente vecchie e sorpassate. Quando la letteratura è grande non ci sono immagini o tecnologie che possono fare di meglio. Per questo la parola scritta nella forma conosciuta col nome di prosa o poesia non morirà mai del tutto.

Strappa un angolo dalla tua veste perché ci si possa fare un’idea del tessuto: autocìtati.

Un breve testo che riflette la mia idea di letteratura: «La sincerità è di moda. Non hanno importanza l’ironia arguta della generazione di Facebook o il postmodernismo che ha indotto gli intellettuali a leggere fratture in ogni sistema di valutazione. Dall’11 settembre 2001 e dopo la Grande Crisi del 2009 e 2010 i lettori hanno dimostrato interesse per storie semplici, raccontate in modo sempre più diretto. Tale approccio trova spazio in una quantità di opere di letteratura popolare degli ultimi anni. I primi titoli che vengono in mente sono Il cacciatore di aquiloni, la storia toccante di due bambini afghani, Zia mame, la storia di una donna giapponese e un bambino americano in giro per le strade newyorkesi, Il Delfino con la meravigliosa storia di un pesce che vuole andare oltre le barriere imposte dai suoi simili… fino all’ultimo Fernando Vargas con Alla ricerca della felicità. Meno apprezzati dalla critica, ma ben inquadrati in questo contesto, sono i notissimi romanzi di Richard Bach Il gabbiano Jonathan Livingston e Illusioni, che meritano almeno il rispetto che si deve a opere che riflettono in modo così netto il tenore dei tempi in cui sono scritte. Dopo l’11 Settembre e la Crisi del 2009 che prosegue anche nel 2010, i lettori hanno sentito la necessità di essere rassicurati da storie schiette che narrassero di brave persone che cercano di vivere onestamente, che credono nell’amore e nell’amicizia, nell’onore e nella carità, che credono in un possibile mondo migliore e in un “sé” migliorabile; forze prosaiche ma immense che danno dignità alle nostre esistenze.» Chi sottoscriverebbe questo breve testo oggi tra gli scrittori italiani? Nessuno. Anzi, un moto di stizza e fastidio passerebbe per le loro spine dorsali fino a giungere alle sinapsi. Citare Bach o Bambaren? Ma stiamo scherzando? Ci manca solo Coelho… Hanno sdoganato tutti: da King ai Fantasy. Prima o poi ciò che ho scritto, in altro modo e con argomentazioni inattaccabili, lo dirà qualcun altro spacciandolo per argomento rivoluzionario. Non è un problema, però il cinismo e lo scetticismo delle persone dedite all’arte in modo professionale che fungono da opinion leader mi farebbe un po’ paura se non conoscessi bene quali moti puerili li muovono.

Come si forma un’opera nella tua officina?

Ecco il punto fondamentale: mi ci son voluti dieci anni per capire come agisce nella mia testa la giusta alchimia tra creazione e scrittura. Ora ho capito che quando voglio trattare un tema o un termine, sia esso Bellezza, Felicità, Verità… devo comprare e leggere più testi possibili rivolti a questo. Siano essi di letteratura, poesia, filosofia, cinema, architettura, botanica. È un lavoro compilativo. Non ultimo quando voglio o sento il desiderio di scrivere di qualcosa in qualche modo la mia stessa personalità muta in riferimento al servizio di quel che vorrei approfondire attraverso la scrittura. È un po’ come una fissazione che spesso nella vita di tutti i giorni gioca a mio sfavore perché nascono contraddizioni o scarti tra me e il mondo reale in una società di esseri umani. Per questo penso che scrivere sia un piacere ma sia anche una piccola condanna che ci si auto infligge per ragioni sicuramente riconducibili alla psiche e quindi alla psicologia e alla psichiatria.

Per me il segreto stava tutto lì: capire quando le mie fasi creative agiscono in un certo modo per portarmi alla creazione. Nel momento in cui l’ho capito e ho accettato tutto ciò che ne consegue, ho potuto iniziare sul serio senza brancolare nel buio. Fortunatamente però ho incontrato l’editore Gianluca Barbera, deus ex machina della collana Indicativo/Presente di Sironi Editore (fu lui a contattare Giulio Mozzi per farlo diventare Direttore di collana). Barbera nel 2005 è uscito dalla casa editrice fondando i due marchi Barbera e Liberamente. Lui mi ha aperto l’officina vera e propria e mi ha dato piena libertà d’azione artistica. Promuovo i testi di altri autori in cui credo, promuovo titoli di libri e idee. Scrivo sapendo che i miei testi verranno pubblicati perché hanno un pubblico di lettori che li attende. Ho imparato che c’è tanta arte anche nel fare libri che funzionano per il grande pubblico e che vendono bene. Arrivare a tante persone rende il libro vivo, ossigena la mente e dà molte soddisfazioni. Dà una libertà inimmaginabile. Se posso fare un appello: mandatemi romanzi, idee e dattiloscritti. Non sono invidioso, se trovo qualcosa di buono farò di tutto per agevolarne la divulgazione.

Qual è il tuo maggior cruccio, rispetto a quanto hai finora scritto?

Sarò patetico nella prima parte della risposta e spietato nella seconda. Il mio maggior cruccio quando ho scritto i vari libri, che ormai sono veramente cospicui, era: sarò all’altezza dei miei figli e dei miei nipoti? Se ipoteticamente leggeranno in futuro i miei libri dovranno vergognarsi per me o ne andranno fieri? Non so, ma da bigotto quale sono, certi romanzi che hanno all’interno perversioni o giri ombelicali o bestemmie o masturbazioni cerebrali e fisiche oltre che imbarazzarmi mi fanno pensare: ecco l’ego ipertrofico di un uomo o una donna inconsapevoli dell’idea di pudore. D’accordo, l’artista deve essere spudorato, ma il pudore cui faccio riferimento io è una visione morale ed estetica. Ammetto efferatezze e volgarità solo nei classici e nei grandi scrittori e siccome non considero grande scrittore nessuno degli autori italiani viventi a parte me, ovviamente, come ogni altro autore penso di essere uno dei più grandi altrimenti non scriverei nemmeno una riga, non posso accettare questo tipo di situazioni.

Altro cruccio: certe collaborazioni, soprattutto all’inizio, tra il 1996 e 2002 e poi dopo la pubblicazione del primo libro per Sironi concernenti riviste letterarie e antologie avrei potuto tranquillamente evitarle. Erano progetti che servivano solo a chi le curava e le gestiva ma io, ingenuo ragazzo di campagna, accettavo perché credevo fosse vera stima, fosse in qualche modo un’amicizia leale o almeno solidale. Non era così, c’era solo l’idea di autoaffermazione e attestazione di un piccolo e insignificante potere. Tra l’altro i quotidiani nemmeno pagavano! Tornassi indietro quindi almeno cinque racconti non li ripubblicherei su antologie e riviste letterarie e nemmeno scriverei per i giornali nazionali che mi chiedevano racconti gratuitamente. Per fortuna sembra che la moda delle riviste letterarie sia passata così come la moda di antologizzare orde di scrittori in erba.

La critica più intelligente che hai ricevuto, diceva che…

Adesso i miei libri vengono appena segnalati in tre righe o vengono riportate le quarte di copertina sui quotidiani locali. Nel 2006 feci un romanzo che fu molto recensito e molto stroncato e molto elogiato. Ma non erano recensioni o critiche a me o al mio libro, bensì machiavellicamente fatte per elogiare o denigrare direttore di collana, casa editrice. Io e il mio libro in tutto questo non c’entravamo nulla. Nel 2003 con l’esordio di Racconti felici venivo recensito perché ero un giovane scrittore e in Italia fino al 2005 c’era tutto un pullulare di critici che avevano interessi di varia natura nel recensire giovani scrittori carini. Il più intelligente, che esula d tutto questo, è stato su “Il Foglio” Camillo Langone che, riporto letteralmente, dice: «Lo scrittore Davide Bregola piace alle donne, accidenti. Piace perché è piacente e perché scrive di buoni sentimenti, di bellezza e felicità dello stare al mondo.» Oppure altro suggestivo critico, Raul Montanari dal suo sito: «Un po’ spiace quando ti rubano la scena, ma bisogna ammetterlo: Davide Bregola è di una bellezza limpida e romantica, sul palco cosparso dagli sguardi ipnotici…». Queste sono segnalazioni o suggestioni del 2009 e da qui si può dedurre che sono un bell’uomo e pure piacente. Come può scrivere cose tristi uno che si sente bene? Che ha un buon rapporto con se stesso ed è pure amato? L’autostima non concorre certo a farmi scrivere di uomini in crisi o cospirazioni internazionali. O Langone e Montanari volevano intendere altro? Siccome non prendo mai troppo sul serio recensioni o segnalazioni a volte leggo, sorrido e passo oltre con ironia. Per il resto invece mi prendo sul serio quel tanto che basta per non diventare patetico.

(La foto di copertina è di Paola Castagna)

 

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