Scrittura e storia (sumite materiam)
Immaginiamo che uno abbia tutte le carte in regola per essere uno scrittore, un ottimo scrittore, forse persino uno scrittore di genio. Ha letto e sta leggendo quanto deve, padroneggia strutture e tecniche e sa persino innovarle. Ha una poetica personale e potente, anzi, ha addirittura una visione del senso dell’arte nel mondo contemporaneo.
Che cosa gli manca?
Gli manca la materia prima. Quale sarà la sua storia? Quali saranno i temi del suo Discorso? Sotto la pressione di quale domanda si metterà in definitiva a scrivere?
Molti scrittori sono come quegli studenti secchioni pronti a svolgere qualsiasi tema. Sanno che prenderanno comunque un bel voto. Alcuni, sono consapevoli persino di essere da tempo “immanicati” (già a scuola si impara quanto sia importante la reputazione…) e possono vivere di rendita. Il bel voto non glielo leverà nessuno. Qualche eventuale caduta sarà tollerata come una distrazione di passaggio, un cedimento comprensibile.
Questi scrittori sono bendisposti verso qualsiasi commissione, da qualunque parte giunga l’invito a scrivere. Faranno bella figura comunque, amplieranno il curriculum. Non temono il pubblico, anzi, sono disponibili per il bis, sono lieti di esibirsi per qualche divagazione a richiesta.
Una parte di essi, gli scrittori-idraulici, monetizzano la loro bravura. Non importa la causa, l’idea, il contesto, ma il tariffario. Ovviamente, lo fanno per difendere la dignità del loro mestiere. Mestiere, appunto. Con tanto di sindacato specifico.
Ma i grandi scrittori sono sempre alla disperata ricerca di qualcosa. Scrivono necessitati e generosi. Del resto, se dovessero monetizzare, chiederebbero cifre astronomiche, sostenibili solo da un Elon Musk.
Prendiamo il caso di Manzoni. Manzoni non scrive i Promessi sposi perché vuole raccontarci una bella storia (anche se nella premessa, per suprema ironia, giura che è così) o per mostrarci quant’è bravo. Manzoni scrive i Promessi sposi perché vuole compiere un esperimento reale, è uno scienziato di parole che vuole capire da dove nasce il male. Ecco la sua domanda: perché esiste il male nella storia? Così il romanzo comincia con un prete che ha scelto quella vita per mera ricerca di tranquillità. E l’autore che fa? Si vendica subito di lui, gli mette sulla strada la malvagità inattesa. E i due promessi, protagonisti dell’opera, sono persone innocue, umili e innocenti: allo stesso modo, la tragedia bussa alla loro porta. E per quale motivo? Forse il male nasce persino dall’amore, benché un amore distorto, perverso. No, leggiamo meglio il romanzo, la verità è persino peggiore: il male nasce dal capriccio e dal puntiglio. Come a dire: è gratuito. Terribile: il male nella storia non ha ragione. E nell’alchimia del suo sperimento di parole, la domanda si rovescia: da dove nasce, invece, il bene? Sarà sorprendente scoprire che il bene nasce magari dalle mani dell’assassino. Padre Cristoforo può leggere i sentimenti di Renzo, perché lui ha già commesso il crimine che tenta il cuore del ragazzo. Ecco, pensate, in questo romanzo definito della “Provvidenza”, frutto delle mani di un Cattolico convinto, la Storia è devastata da un male assurdo che non risparmia nessuno. Ma se Dio in questo romanzo interviene, se parla, diremmo che interviene nel luogo più improbabile: nella coscienza del più malvagio in assoluto: l’Innominato. La voce di Dio nel romanzo è una semplice sillaba, un “no” che risuona nella coscienza del cattivo: punto di svolta dell’intera vicenda. Pazzesco. Il male può nascere dal bene, e il bene può fiorire dal male (con buona pace di Baudelaire).
Insomma, per essere scrittori occorre incontrare la propria storia. E qui ci interroghiamo sul fatto che ci siano epoche forse più propizie – drammaticamente propizie – per favorire la letteratura. Epoche come grandi onde sollevano la scrittura ad altezze vertiginose. Non si augura a nessuno, ovviamente, di vivere in prima persona la tragedia di una guerra, o traumi personali di qualsiasi natura, ma alla fine occorre ammettere che il grande maestro, per uno scrittore, è alla fine sempre lui: il Dolore. La Storia, quella con la “s” maiuscola, può travolgere l’umano e prendere medici, ingegneri, operai, maestri o chissà che altro e farne degli scrittori.
Scrivere nella tempesta, se sei dotato di talento, può favorire la nascita di un capolavoro. E scrivere durante la bonaccia? La pace e il benessere favoriscono, almeno tendenzialmente, il commercio, il lusso, la sovrapproduzione. La decadenza. Ma qui il dramma può essere comunque interecettato, anche se si è reso più sottile. Io non credo, in definitiva, che esistano epoche più prossime di altre alla verità, però diventare i reporter della propria anima, gli esploratori delle vicende minute della quotidianità, gli interpreti dei sottili malesseri che formano il ponte oscillante sull’abisso della nostra vita, nasconde delle insidie specifiche. Il compiacimento, anzitutto; la riduzione della scrittura a esercizio di stile attorno al nulla. È un’epoca tragica anche la nostra, allora, tragica per la marea di scritture che altro non sono se non un profondo grido di solitudine dell’uomo.
Dobbiamo rassegnarci a vivere in un’epoca meno propizia per il capolavoro? No, come ho detto, si tratta di riconoscere il contesto e di disinnescare le trappole. Del resto, non ci sono regole assolute: il genio è tale perché può sovvertirle. I Romantici, ne parlavano come l’interprete dello Spirito del Tempo, voce profonda della propria epoca, in grado anzi di anticipare il mondo a venire.
E tuttavia, se davvero vogliamo trovare la materia della nostra opera, se davvero non siamo studenti che affrontano sereni il loro tema, ci aspetta una sfida anzitutto umana, interiore, potente e devastante. Non possiamo cominciare questo cammino se non ci perdiamo nella nostra selva oscura. È qui, dove la Storia con la S maiuscola si intreccia indissolubilmente con la nostra piccola storia individuale, è qui, in questo punto di congiunzione che chiamerei Coscienza, che si gioca la grande partita. Senza paracadute, senza reti di sicurezza, senza certezza di risultati. Disastro o vittoria. Salvezza o perdizione.
Qui la partita si gioca completamente da soli. Se qualche guida potrà aiutarti, non sarà una guida per lo stile. Dante ha già imparato tutto da Virgilio, in questo senso. In questi momenti, si spera di poter trovare una guida morale, una guida spirituale. Il gioco si è fatto davvero serio, definitivo, e riquarda la stoffa stessa della nostra vita. Non scegliete un tema che possa distruggervi, piuttosto restate nelle cordate rassicuranti della bravura, disponibili a tutti gli esercizi che vi proporranno.
Sumite materiam, dicevano gli antichi. Anzi, rileggiamo meglio il precetto oraziano:
Sumite materiam vestris, qui scribitis, aequam
viribus et versate diu quid ferre recusent,
quid valeant umeri
(Ars poetica 38-40)
Si può scrivere anche quotidianamente, per mestiere. Ma se si pensa di poter scrivere il capolavoro, più che mettersi a fare esercizi, occorre vigilare, acuminare i sensi, prepararsi umanamente, spiritualmente, per quando arriverà la grande onda, la materia che chiederà il canto. O l’urlo. Il gesto, insomma, che nemmeno sapevi di avere, che produci per una forma di disperata responsabilità.
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