Dal figlio al padre sotto il Cielo di Marte (di Gianni Marchetti)
Sotto lo pseudonimo di Andrea Temporelli si nasconde e si rivela ad un tempo l’identità di Marco Merlin. Il fatto che un appena trentenne che al suo esordio ha avuto l’onore di essere pubblicato per la più prestigiosa collana di poesia italiana (“la bianca” di Einaudi) abbia scelto di celare il proprio vero nome, in un’epoca di imperante esibizionismo e smania di riconoscimento, denota un understatement che depone a favore di una posizione decisamente post adolescenziale e matura. È la creatura-poesia che deve andare avanti nel mondo, non l’autore, tocca ad Astianatte farsi avanti, ad Ettore lasciargli il suo posto nel mondo adulto.
Il viaggio poetico di Merlin inizia proprio da Andrea, il fratellino morto a pochi giorni dalla nascita (che compare nelle vesti di “angelo” in tante poesie dell’autore). Il viaggio poetico di Marco Merlin deve subito superare l’erta della scomparsa della madre (il cui cognome è Temporelli). Il poeta sembra rimasto solo e il fatto di rifiutare il nome del padre, letto alla luce delle sue poesie, sembra voler dire che l’autore si carica del peso di Anchise, facendosi padre, di se stesso e degli altri. Molti critici hanno messo in luce questa connotazione: “Temporelli è un poeta padre […] essere padre significa fare i conti con la parola responsabilità” sostiene Attilio Motta (“Semicerchio”, XXXV, 2006/2, pp. 136-7). Responsabilità nei confronti dei propri figli, dei propri studenti (Temporelli è insegnante) di chi condivide la propria esistenza (nelle poesie di Temporelli la donna è soprattutto propria sposa). Responsabilità di assumersi il peso di tramandare una tradizione. La ricerca di Temporelli, “non punta alla trasgressione; sceglie anzi – per un senso di decenza e di rigore, io credo, più che per mancanza di coraggio – di presentarsi con la giacca e la cravatta dei grandi, dei maestri. Anche qui, si tratta di trovare l’equilibrio tra la pagina e il padre, tra la freschezza della lingua viva e un decoro letterario ereditato (Umberto Fiori, intr. a La buonastella, in Poesia contemporanea. Settimo quaderno italiano, Marcos y Marcos, Roma, pp. 233-35).
Approdare alla paternità, alla maturità, uscire da una adolescenza segnata dal sigillo della Morte (altro tema aleggiante nei versi di Temporelli) pretende l’assunzione del ruolo dell’eroe. Che deve combattere. Ogni giorno (non basta certo essere heroes just for one day… per assurgere al cielo di Marte dantesco, quello che accoglie gli spiriti militanti).
Cosa può sentire? Cosa può pensare l’eroe che si sporge con sobrio e consapevole coraggio sull’orlo dell’ignoto della vita che ci impone di procedere nel suo corso naturale? Ce lo dice Temporelli nei suoi versi:
Ecco, quello che pensi sia dio e in fondo
non è che una radura
che ti comprende, come
su Marte una pianura
avrà la prima impronta, esattamente
si manifesta, tanto che non c’è
nulla da dire, niente
da domandare più,
nessun luogo in cui andare o far ritorno.
Talvolta questo accade, certo, e tu
non ne hai né colpa né
merito. Accade questo, ogni giorno
(Gianni Marchetti, Dal figlio al padre sotto il cielo di Marte, in Documenti di viaggio. Dodici poeti novaresi, a c. di Gianni Marchetti, Torino, Torino Poesia 2008, pp. 155-156)
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