Aftermath, di Marcella Savino (2015, fotografia digitale, cm 70x100x10)

Liaison

(L’opera scelta come copertina è di Marcella Savino.
Cliccare sull’immagine per la visualizzazione completa)

E alla svelta, premendo:
l’acqua mi fa strada,
e ansiose le gambe sbirciano
di fuori. Ed entra,
tu mi bisbigli entra,
e sul tuo orecchio dipano baci
come piccole fruste, e stringo il fiato,
e sfiorami, dici (di corsa sono sceso,
la voce gonfia di bava); ed entra, entra,
tu mi bisbigli, e sfiorami, dico,

sfiorami ed entro.

Mario Fresa

Vaccinati da secoli a tutti gli scandali in letteratura, non sarà certamente la scelta del tema erotico a valorizzare la raccolta d’esordio di Mario Fresa, ma la capacità di questo trentenne salernitano di trattare tale materia con personalità. E da che cosa si deduce questa personalità? Al di là del fatto, comunque rimarcabile, che sia finalmente un uomo a eleggere il corpo e la sensualità a oggetto della propria indagine, si apprezza subito l’equilibrio tra carne e pensiero in questa Liaison (è il titolo del libretto edito da Plectica). Siamo lontani, insomma, dalle esplicite volgarità che vanno sempre di moda, con la scusa del postmoderno o della poetica femminile, secondo la quale argomento delle donne è sempre il sacro naturale, ovvero il corpo preso come filtro unico (e magari a loro riservato) per rapportarsi al cosmo: come se si sapesse davvero che cosa è il corpo, come se le donne, dopo il femminismo, non avessero altro da raccontarci (senza nulla da obiettare, ovviamente, alla specificità della loro natura e del loro modo di pensarsi nel mondo).

Dicevamo della mancanza di volgarità in Fresa: non che manchino riferimenti concreti nella sua poesia («e il tuo odore mi scoppia / sulle mani, nell’impestato / inverno che le dita mi scompone»), ma essi risultano sempre registrati con un’inclinazione surreale. C’è uno scivolamento costante dal corpo alla voce, alla memoria, al pensiero (e dai versi alla prosa): «Mi perdo le gambe. Cado. Non senti?», «ruotandoci vicino le braccia asmatiche, e la sera mi soffiava tra le cosce, mi fumava tra le labbra come una pioggia d’unghie, come una mina». Questi abbandoni, che in una donna suonerebbero in falsetto, verrebbero presi per recitazione o, paradossalmente, per rivincita del maschile (del razionale e dell’astratto) sulla fisicità della carne, in questo libro risultano esatti «gemiti di lingua blesa».

Perciò non sorprende se il testo riportato per intero è proprio quello che apre il volume e diventa, inaspettatamente, un invito esplicito a chi ha tra le mani il libro: la poesia è sensuale perché non tratta il lettore da morboso spettatore, ma lo fa entrare negli intrecci di ogni pagina, lo coinvolge nella danza.

 

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