Il calcio autentico è pura poesia, residuale e reietta. Tra Superlega e Weltliteratur

Le ragioni per opporsi al progetto della Superlega sono ovvie, sensate, popolari. Siamo di fronte a un attentato oligarchico al calcio, si dice. Sarebbe l’inizio di un altro sport, si proclama. Abbasso il circo mediatico globale, che farebbe terra bruciata dei campionati locali e peggio ancora dei campetti di calcio nelle province dove i giovani tirano i primi calci, si sentenzia. È un coro pressoché unanime di indignazione verso quella esecrabile sporca dozzina. Ne manca solo uno, formalmente, per procedere con la crocifissione, ma l’agnello (ops) sacrificale è già stato individuato.

Sono d’accordo con tutte queste osservazioni, ma ovviamente mi godo la mia posizione ininfluente per chiedermi incuriosito come andrà a finire. Staremo a vedere. Non mi piace la rassegnazione, non mi reputo un cittadino del mondo passivo rispetto a ciò che accade intorno, però nemmeno recito la parte della formica che s’incazza seguendo l’onda collettiva, e sono più in ansia per Naval’nyj o per Patrick Zaki che per le sorti del calcio. In questi giorni, faccio il tifo per la resistenza in Myanmar.

Dunque, mi pongo qualche domanda e constato alcuni dati. Intanto, che un progetto Superlega non abbia senso o uccida il calcio è ancora da dimostrare. Non entro nel merito, il discorso si farebbe lungo e tecnico. Forse però qualche formula che possa mediare le parti esiste. In ogni caso, anche le ragioni dei dodici ladroni sono recuperabili, con qualche click su google e un copia-e-incolla, e anche queste ragioni meritano un’analisi e una valutazione non sommaria. Lucida, ragionevole, non emotiva. Magari per arrivare alla conclusione che no, proprio una superlega non ha senso e sarebbe soltanto dannosa.

E tuttavia sono sorpreso della sorpresa generale.

Voglio dire: non è il caso di constatare che già da anni abbiamo svalutato i campionati nazionali, ridotti quasi ovunque a monopoli? Germania, Italia e Francia sono perfettamente allineate in tal senso da un decennio. La Spagna è al più un duopolio (evviva il calcio ultratradizionalista, eroico e insopportabile da guardare del Cholo Simeone, che ogni tanto fa il terzo incomodo!). Il campionato inglese è un po’ un’altra storia, ma proprio perché lì di inglese c’è ormai poco: è, in piccolo, un campionato globale, mosso dai magnati del pianeta, arabi o russi che siano (già, i colonizzatori sono stati colonizzati, e neanche se ne sono accorti!). E la Champions, che da un decennio è vinta regolarmente solo da una delle cinque-sei squadre con maggior fatturato (anzi, visto che le milanesi fanno parte della famigerata dozzina, occorre risalire al 2004, con il Porto, per trovare una vincitrice estranea al novero delle Grandi Sorelle), la Champions, dicevamo, non ha già ucciso in tempi non sospetti la Coppa delle Coppe e la stessa coppa Uefa, che si è cercato negli ultimi anni di riesumare? E non ci siamo accorti dei molteplici tornei estivi delle grandi squadre, che hanno snaturato i romantici ritiri precampionato trasformandoli in tournée internazionali tanto necessarie quanto fastidiose per tutti gli allenatori e così poco compatibili con le regole stesse di una buona preparazione? Contare quanti italiani scendano in campo nelle squadre italiane sarebbe persino reazionario.

No, i dodici oligarchi e le loro ragioni economiche non mi suscitano alcuna simpatia, e soprattutto i modi con cui si è portato avanti il progetto mi ricordano colpi di stato dittatoriali. Però mi viene il sospetto che i loro orologi segnino l’ora corretta, mentre la reazione intorno sia tardiva e isterica perché nel frattempo si è dormito tranquillamente, con tanto (piccolo dettaglio) di pandemia di contorno.

Non faccio il tifo per la superlega, dunque, né mi preoccupo dei loro (loro) debiti astronomici. Mi piace pensare a una serie A e addirittura a una Champions vinta dall’Atalanta, come ai tempi poteva capitare all’Amburgo (e lo dico da juventino). Sono tra quelli che, quando può permettersi una sgambettata a calcetto con gli amici, cerca di capire se la gara parte con squadre ben equilibrate e addirittura, se ne manca uno, pretende di giocare in inferiorità numerica. Ho imparato a conoscere gli impianti sportivi sgarrupati in cui porto i miei figli a giocare. Spero che anche gli stadi del Gozzano e del Novara imparino ad attrarre sempre più persone. Però so bene che gli amanti del calcio non vedono l’ora di accendere la tv per vedere Ronaldo che sfida Messi, anzi, aggiorniamoci: Mbappé che sfida Haaland. Se in casa mia non ci si perde nemmeno la sfida tra Crotone e Benevento è solo per merito del Fantacalcio.

Insomma, staremo a vedere come andrà a finire. Già da tempo i manuali scolastici non sanno più come registrare la contemporaneità: voglio dire, senza risalire al concetto di Weltliteratur e chiamare in causa addirittura Goethe, se non Voltaire o Vico, la letteratura italiana non esiste più da tempo, se non come rivolo infimo della letteratura mondiale. Suvvia, quindi, sincronizziamo gli orologi e aggiorniamo le nostre coordinate spaziotemporali. Datevi l’appuntamento al posto giusto, se volete manifestare il vostro sacrosanto dissenso.

Benvenuti nella provincia dell’impero, dove il calcio autentico è pura poesia: residuale e reietta.

Io, intanto, mi chiedo se aggiorneranno prima i manuali scolastici o gli almanacchi sportivi.

No, cancellate la domanda. Non c’è partita.

 

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *