Epigrafi fatali
Le epigrafi che accompagnano un libro, e soprattutto un libro di poesie, sono, come tutte le citazioni, rischiose: possono apparire geniali, possono innescare la complicità con il lettore, ma possono anche, all’opposto, infastidirlo. Aiutano nell’interpretazione, suggerendo una costellazione di riferimenti, un orizzonte di pensiero o di ricerca stilistica, oppure lo inceneriscono. Io stesso ricordo epigrafi bellissime che hanno completamente oscurato il testo.
Nel mio caso, le epigrafi rispondevano finora a una strategia di sviamento.
Quando pubblicai con Einaudi, in limine al volume inserii un passaggio di Sereni: “Potrei / con questa uccidere, con la sola gioia…”. Sapevo che chi mi conosceva, o presumeva di conoscermi, a Sereni avrebbe aggiunto Luzi (di cui riportavo peraltro dei versi, all’interno di una mia poesia) per individuare due presunte figure di riferimento per la mia scrittura. In effetti, ho utilizzato il profilo di questi maestri come “poeti dello schermo” e direi che, a conti fatti, il depistaggio ha funzionato. Ho dato a tutti un appoggio per cercare discendenze, filiazioni, traiettorie ideali.
(L’altro motivo per cui citai Sereni era la presenza di una parola chiave, per me: “gioia”. Addirittura, un possibile titolo della raccolta per molto tempo era stato Il pensiero della gioia.)
Nella raccolta successiva qualcosa di analogo è successo con Foscolo per Terramadre, mentre le altre epigrafi avevano un valore più esornativo, come una nota, un campanellino imprevisto (con poeti effettivamente meno prevedibili: Loi, Spaziani e Petrarca) utile per scandire l’apertura di una sezione. La citazione più ampia di Platone, invece, aveva una funzione più complessa: mentre corroborava una certa vena satirica (La repubblica dei poeti), la ricollegava a un altro livello interpretativo: l’arte medica accostata alla poesia era addirittura un tema posto all’inizio del libro, con versi a sé stanti.
Ora, nel mio nuovo libro, anche se si struttura in più passaggi precisi e impone dunque movimenti, ritorni, strappi ecc., ho voluto inserire una sola epigrafe, in apertura. Mi è cara perché sintetizza diverse riflessioni, insomma risponde a esigenze di poetica. È insomma l’unica vera epigrafe-chiave, all’interno dei miei libri.
Eccola:
È noioso bisbigliare con un vicino. È infinitamente uggioso scandagliare la propria anima […]. Ma scambiare segnali con Marte, senza fantasticare, naturalmente, è un compito degno della poesia.
Osip Mandel’štam
Mi pare ben riassuntiva del mio percorso. Se il libro d’esordio si intitolava Il cielo di Marte, ora la poesia che chiude questa raccolta è una Postilla per l’alieno.
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